Il granchio blu: danno o risorsa?

Il granchio blu (Callinectes sapidus), largo carapace, fino a 20 cm, di color bruno-verdastro, con macchie biancastre con una lunga spina ai due lati, zampe blu e lunghe chele blu all’estremità, è una specie aliena invasiva per il Mar Mediterraneo. Originario delle coste Atlantiche dell’America, è stato segnalato la prima volta nel 1949 nel Mediterraneo e negli ultimi anni si è ampiamente diffuso soprattutto in Adriatico, in prossimità di lagune ed estuari.

Anche in Toscana il fenomeno si sta diffondendo, soprattutto lungo le coste della Maremma. Negli ultimi giorni si è registrato un aumento eccessivo in termini di esemplari soprattutto nella Laguna di Orbetello, anche se il fenomeno, seppur con numeri inferiori, ha riguardato anche Burano. Numerosi esemplari sono stati ritrovati nelle reti alle Secche di Vada, a Marina di Pisa, alla Foce Arno e all’isola d’Elba.

Questa specie aliena è diventata invasiva grazie ai cambiamenti climatici e al riscaldamento delle acque che hanno reso i nostri ambienti più idonei alla sua sopravvivenza e proliferazione.

È un predatore che si nutre di gasteropodi, bivalvi per il 30-40%, crostacei per il 15-20% e per meno del 5% di piccoli pesci, vermi e meduse. Occasionalmente può cibarsi anche di materiale vegetale e rifiuti.

Si tratta di una specie altamente competitiva che può comportare danni agli ecosistemi, in particolare, può divenire competitore per gli invertebrati con cui condivide l’habitat grazie alla forte aggressività e alla sua grande capacità natatoria. Inoltre, presenta una elevata fecondità e un lungo periodo riproduttivo. Tutto questo fa sì che il granchio blu, in presenza di condizioni ambientali favorevoli, riesca ad avere un enorme successo riproduttivo con un elevato numero di esemplari che determinano eventi come quello registrato presso la Laguna di Orbetello, a Grosseto.

Tra gli effetti negativi della presenza di questa specie è da evidenziare anche l’impatto sulle specie algali di cui può nutrirsi e anche sulla pesca e le attività produttive in genere. Soprattutto per quanto riguarda la pesca si assiste a danni agli attrezzi, come reti e nasse, e anche al catturato rimasto negli attrezzi. Per gli allevamenti, invece, la loro voracità porta a una riduzione della disponibilità delle “materie prime” necessarie allo sviluppo delle specie ittiche e a una riduzione del novellame. 

Proprio a questo riguardo l’ultimo evento di invasione a Orbetello ha comportato danni consistenti in quanto gli esemplari di granchio blu hanno depauperato il “cibo” per l’allevamento di anguille e orate quali ad esempio vongole, cozze e anche piccole orate, danneggiando la produzione.

Cosa fare per ridurre questa minaccia? L’eradicazione totale è pressoché impensabile ma una riduzione del numero e quindi una riduzione della minaccia alla biodiversità marina è possibile. Al riguardo si segnalano gli studi dell’Università di Siena sulle caratteristiche organolettiche e tossicologiche delle carni del granchio blu al fine di utilizzarlo come alimento e consentirne la commercializzazione.

ARPAT, nell’ambito della la Direttiva europea sulla Marine Strategy, effettua il monitoraggio delle specie non indigene, dette NIS. Tale monitoraggio è stato effettuato prima nel porto di Piombino ed attualmente nel porto di Livorno dove, dal 2021, vengono utilizzate anche le nasse per la raccolta degli organismi bentonici, che vivono in stretto rapporto con il fondo marino. Al momento, nell’ambito di tale attività, non si registrano catture di tale specie.

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