Le parole del cambiamento climatico

In occasione del corso rivolto al personale interno di ARPAT, sul tema del linguaggio e cambiamento climatico, il professore Marco Biffi  (ordinario di Linguistica italiana presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze e membro dell’Accademia della Crusca) e la dott.ssa Francesca Maltagliati (dottorato in Filologia, Letteratura italiana e Linguistica presso l’Università degli Studi di Firenze) hanno offerto:

  1. una “panoramica” sul linguaggio tecnico
  2. alcune chiavi di lettura per utilizzare al meglio le parole quando ci rivolgiamo ad un pubblico vasto
  3. strumenti operativi e suggerimenti pratici per diffondere contenuti tecnico-scientifici alla cittadinanza.

Il linguaggio del cambiamento climatico è un linguaggio specialistico, che possiede alcune caratteristiche tipiche. Nasce in un ambito di alta specializzazione, nei centri di ricerca, nelle università, ha la funzione di soddisfare bisogni comunicativi precisi, dipende da specifici settori di conoscenza e viene utilizzato all’interno di gruppi di specialisti. Si tratta di un linguaggio interdisciplinare che trae il suo lessico dal serbatoio lessicale di molte discipline: climatologia, meteorologia, chimica, fisica, biologia, ecologia e ha commistioni con il linguaggio giuridico – amministrativo.

Come altri lessici specialistici, anche quello del cambiamento climatico, si forma in tre modi:

  1. Rideterminazione semantica: è il processo attraverso il quale una parola della lingua comune acquista un significato diverso nel linguaggio specialistico. Questo è molto frequente nel linguaggio del cambiamento climatico, esempio: effetto serra, impronta ecologica, adattamento, mitigazione ecc. In alcuni casi, il risultato è efficace e la popolazione comprende bene il significato, in altri casi, invece, la rideterminazione semantica, purtroppo, crea delle ambiguità, esempio hot spot (punto caldo) che, oltre ad essere una parola inglese, ha significati diversi nel linguaggio comune.
  2. Transfert o travaso lessicale: trasferimento di singoli vocaboli o intere categorie o domini lessicali dal linguaggio specialistico di una scienza o più scienze al linguaggio specialistico di un’altra disciplina, cambiandone il significato, come nel caso di carbon budget (bilancio di carbonio) o bilancio energetico terrestre. Il termine bilancio appartiene al lessico dell’economia ma viene utilizzato in altri linguaggi tecnico-scientifici non con lo stesso significato utilizzato nell’area economica.
  3. Neologia: processo di creazione di una nuova parola, come ecoansia, antropocene, pirocene ecc. Non sono tantissimi i neologismi, in generale si tratta di parole del lessico comune a cui viene dato uno specifico significato come ecoansia.

Il lessico usato per descrivere i cambiamenti climatici, ma anche quello adoperato per mostrare lo stato dell’ambiente, non è conosciuto dalla maggiore parte della popolazione.

Le parole non sono tutte uguali; il lessico italiano è formato da 330-350 mila parole ma il nucleo centrale della lingua italiana è costituito dal vocabolario di basecirca 7000 parole. Si tratta dell’unico nucleo del lessico che tutti gli italiani possono comprendere a prescindere dal loro grado di istruzione. Dopo il vocabolario di base abbiamo il lessico comune rappresentato da circa 50-60 mila parole su 330-350 mila circa. Si tratta di parole che sono comprensibili a chi possiede un grado di istruzione superiore, ovvero a chi ha raggiunto il diploma di maturità.

Oltre al vocabolario di base ed il lessico comune, esiste tutta una serie di parole che appartengono all’italiano ricercato, aulico; la gran massa delle parole che rientra in quest’area appartiene al lessico tecnico-specialistico, che è quello che le Agenzie ambientali usano quotidianamente nella loro attività.Il lessico tecnico specialistico è rappresentato da circa 250-260 mila parole appartenenti alle varie discipline del sapere.

Il problema è se e come la popolazione italiana sia in grado di capire il linguaggio tecnico-scientifico. Il grado di comprensione dipende molto spesso dal livello di istruzione.

dati ISTAT del 2020 mostrano che, in Italia, il 16% della popolazione ha un titolo di scuola elementare o nessun titolo di studio; si tratta di una fetta di popolazione, per lo più anziani, che non possono essere esclusi, a priori, dalla comunicazione pubblica. Il 32% della popolazione, invece, possiede il diploma di scuola media. Questo significa che il 48% della popolazione italiana comprende solo il lessico di base (circa 7000 parole), uscendo da questo ambito, è possibile che la comunicazione risulti non efficace per questo segmento di popolazione. Nel leggere questi dati, va considerato anche l’analfabetismo di ritorno.

Le lingue specialistiche sono caratterizzate dal loro lessico, una delle caratteristiche principali è proprio il ricorso al tecnicismo dove la corrispondenza tra significante e significato è univoca, cioè ad ogni parola corrisponde uno e un solo significato, ad ogni significato corrisponde una sola parola. Nelle lingue specialistiche è importante che il significato sia univoco (rapporto uno a uno) perchè questo facilita la precisione del dettato scientifico. Questo è un punto di forza quando si parla tra addetti ai lavori ma diviene uno dei punti critici quando si intende fare divulgazione e/o comunicazione pubblica.

Il punto critico della comunicazione scientifica è proprio utilizzare il giusto equilibrio, la giusta misura di parole tecniche e usarle in modo da rendere i concetti che si vogliono veicolare comprensibili ad un pubblico di “non addetti ai lavori”evitando di usare i cd tecnicismi collateriali, che sono i più insidiosi perché traggono in inganno ed il gergo. Quest’ultimo ha due scopi: il primo è quello di escludere le altre persone dalla conversazione e l’altro è ribadire l’appartenenza ad un certo gruppo sociale, quindi va evitato.

Nella ricerca di questo equilibrio, ci vengono in soccorso i glossari, che spiegano le parole tecniche che utilizzate in modo da rendere il linguaggio più chiaro e comprensibile. La chiarezza e la trasparenza favoriscono la comprensione e la creazione di un rapporto di fiducia tra pubblica amministrazione e cittadinanza.

Quando ci rivolgiamo ad un pubblico vasto, è fondamentale circoscrivere cosa si vuole comunicare (definire gli argomenti, i temi), a chi (determinare i destinatari), come (individuare gli strumenti) e perché.

La scelta delle parole da utilizzare è importante, ad esempio, The Guardian, è stato tra i primi, nel 2019, a chiedersi come trattare il tema del cambiamento climatico: quali parole usare per raccontarlo. La scelta è stata netta: non accogliere nelle sue pagine posizioni contrarie a quelle sostenute dalla comunità scientifica ed usare precise parole, esempio crisi climatica e collasso climatico al posto di cambiamento climatico.

I giornali non sono gli unici a parlare di ambiente e cambiamento climatico, ci sono le riviste specializzate, i mensili, i podcast, i siti Web, la televisione, il cinema, la letteratura, in particolare quella per bambini e persino i cartoni animati. Nel cartone The Simpson (“I Simpson”), ad esempio si parla di ambiente e cambiamento del clima, la voce ecologista della famiglia è quella di Lisa – la figlia di Homer e Mage – che parla di questi temi in modo puntuale e preciso . Considerando che I Simpson sono visti da una platea vastissima, ormai da più di 20 anni, possiamo ritenere che abbiamo svolto un’azione di informazione e sensibilizzazione più di altre fonti.

Dopo avere deciso cosa comunicare, bisogna definire a chi comunicare, cioè individuare il destinatario. Parlare ad un soggetto indistinto è difficile perché non si può utilizzare lo stesso linguaggio per tutti. Se voglio parlare ad un pubblico vasto, non “targettizzato”, non suddiviso in segmenti, è necessario differenziare il tipo di informazioni in base ai destinatari creare più prodotti informativi pensati per pubblici diversi e veicolarli attraverso i canali più appropriati di cui dispongo.

Un aiuto nella scelta del canale da utilizzare ci viene, invece, dai dati dell’indagine Censis, da cui emerge che la maggiore parte degli italiani (51%), ancora oggi, si informa attraverso la TV, in particolare i telegiornali ma il 35% utilizza il canale Facebook. Questo significa che se vogliamo rivolgersi alla cittadinanza è importante, come amministrazione pubblica, essere su questo canale, con la consapevolezza che stare su un social network come Facebook significa anche avere un rapporto stretto con l’interlocutore esterno: rispondere alle domande ed accogliere le lamentele.

In sintesi possiamo dire che, se vogliamo rivolgerci ad un pubblico vasto, dobbiamo indirizzare i nostri sforzi per:

• creare prodotti informativi diversificati per pubblici

• selezionare i contenuti da veicolare all’esterno e i destinatari a cui rivolgersi

• utilizzare i canali più appropriati in base ai contenuti e al pubblico di riferimento

Al tempo stesso è importante:

• realizzare un glossario del linguaggio dei termini ambientali e dei cambiamenti climatici per rendere chiare le parole che utilizziamo nei nostri prodotti informativi

• tradurre sempre le parole inglesi con una parola se esiste il corrispettivo in italiano o con una frase

• spiegare le sigle, indicando il loro significato

• usare sempre le stesse parole per esprimere il medesimo concetto e se ci sono formule, scriverle accanto alla parola di riferimento.

Usare un linguaggio chiaro,semplice, non significa perdere scientificità; ci vuole una forte volontà di introdurre cambiamenti, superando le abitudini e le prassi consolidate. Bisogna essere motivati e credere che i cambiamenti apporteranno un miglioramento all’interno ed all’esterno della nostra organizzazione.

Un pensiero su “Le parole del cambiamento climatico

  1. Grazie, riflessioni utilissime sulla terminologia.
    A proposito dell’esempio di carbon budget ➝ bilancio di carbonio, potrebbe essere utile evidenziare i falsi amici carbon ≠ carbonio, dovuti a traduzioni frettolose e poco ragionate dall’inglese. In inglese, infatti, inizialmente nel lessico giornalistico e in seguito anche nella terminologia del cambiamento climatico CARBON equivale a carbon dioxide, CO2. Esempi: carbon footprint, carbon emissions ecc. Non è [ancora] così in italiano: carbonio è l’elemento chimico, C, e sarebbe opportuno non creare confusione. Eppure nei media generalisti in notizie tradotte letteralmente dall’inglese si legge spesso di “emissioni di carbonio”, “produzione di carbonio” ecc.
    Un altro termine correlato che risulta altamente ambiguo è decarbonizzazione (inglese decarbonization/decarbonisation) che dai non esperti viene spesso interpretato erroneamente come “riduzione dell’uso del CARBONE”.

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