Alessandro Bratti, neo Direttore generale di Ispra, insediatosi il 15 dicembre scorso, ha rilasciato una intervista all’Agenzia Italia (AGI) nella quale affronta alcuni dei principali temi di interesse per il SNPA.
Di seguito riproduciamo il testo dell’intervista pubblicata sul sito AGI.
Lei è stato il primo firmatario della Legge 132/2016, che ha istituito il Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA) e che ha disciplinato l’ISPRA. Legge che, dopo una storia piuttosto travagliata, è entrata in vigore lo scorso 14 gennaio. Da quali esigenze è nata e come intende dare concretezza alle disposizioni in essa contenute?
La legge 132 nasce dall’esigenza di dare uniformità di comportamenti nel settore dei controlli ambientali soprattutto da parte delle Agenzie ambientali, attraverso il coordinamento dell’ISPRA, per costruire un Sistema più indipendente ed autorevole. Questo da un lato per salvaguardare l’ambiente, dall’altro per evitare fenomeni di dumping industriale. Da qui l’idea dei Lepta (Livelli essenziali di prestazione tecnica ambientale) che stanno alla base dell’impianto legislativo.
Un’ulteriore esigenza era quella di conferire autonomia al Sistema attraverso un riconoscimento – che c’era ma non così chiaro – sulla titolarità del dato ambientale. Altra questione riguardava l’esigenza di lavorare in rete, soprattutto tra laboratori. Per monitorare inquinanti nuovi ed emergenti, non era pensabile l’idea che ogni Regione, addirittura ogni Provincia, avesse una sua attività di laboratorio.
Altro tema è quello che riguarda gli Ufficiali di polizia giudiziaria; non tutte le agenzie ne erano provviste e non era chiaro se queste figure potessero essere presenti nelle Arpa. La legge 132 sancisce che questa funzione può essere svolta.
La legge nasceva nel 2006 con una filosofia ben specifica, anche perché c’era ancora l’APAT (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici). A seguito della fusione con INFS ed ICRAM, alcune funzioni sono state necessariamente rivisitate e sono stati introdotti elementi di riconoscimento dell’attività di ricerca, per quanto sempre al servizio dell’attività istituzionale, con un lavoro concertato tra vari soggetti. Questa caratteristica è un grande punto di forza del nuovo Istituto e del Sistema.
Tra le criticità è doveroso segnalare il complesso iter burocratico: ci sono infatti molti decreti attuativi che devono essere emanati dal Ministero e questo rappresenta un problema per la dilatazione della tempistica. In più, essendo un sistema a rete, non si ha una gerarchia, ma una concertazione tra quattro attori fondamentali: il Ministero, le Regioni, l’ISPRA e le ARPA/APPA.
Per dare concretezza alle indicazioni della legge, bisogna consegnare al Ministero gli elementi tecnici conoscitivi che consentono di attuare i decreti di cui parlavo poc’anzi. Questo lavoro è stato impostato ancora prima del mio insediamento. C’è poi la questione delle risorse, anche se le disposizioni contenute nell’ultima finanziaria hanno reso possibile alle Agenzie di assumere personale, ma per una completa attuazione della legge 132 è necessario effettuare investimenti importanti.
L’anno 2017 è stato caratterizzato da diverse e gravi emergenze ambientali: sisma, incendi, siccità, solo per citare i più seri. Quali sono le priorità da affrontare e le criticità da risolvere per tentare di arginare – e se possibile prevenire – danni ambientali come quelli occorsi di recente e che ciclicamente si ripropongono nel nostro Paese?
Le questioni sono tante e tutte degne di attenzione. Non c’è dubbio che i cambiamenti climatici sono uno dei temi più cogenti, sia per ciò che attiene all’adattamento – capire come adeguarsi a condizioni mutate – sia sul fronte mitigazione. C’è un aspetto programmatico e strategico di enorme rilevanza, che non spetta sicuramente al SNPA realizzare, ma che non può essere attuato senza il lavoro del Sistema stesso.
Dal punto di vista degli interventi che riguardano i probabili danni ambientali, credo che il settore rifiuti sia quello da tenere maggiormente sotto osservazione. Non c’è più, infatti, solo il tema dell’inquinamento da discarica o da inceneritore, ma esistono anche altri impianti non considerati impattanti che invece lo sono, come quelli di selezione a valle della raccolta differenziata e che necessitano di essere maggiormente controllati, anche considerando la recrudescenza dell’ultimo anno degli incendi ad essi occorsi (quasi 80/85 incendi all’anno negli ultimi 3 anni). Dal punto di vista del controllo, questa credo sia un’emergenza da non sottovalutare.
Lei è intervenuto spesso su cambiamenti climatici, sviluppo sostenibile e dissesto idrogeologico; ad almeno due di questi temi sono legate le emergenze ambientali cui accennavo precedentemente. Cosa è stato fatto a livello istituzionale e cosa è mancato?
Il tema del dissesto idrogeologico è di grandissima importanza, soprattutto per un Paese vulnerabile come il nostro. A livello di decisioni governative e parlamentari è stato fatto molto ed io stesso vi ho partecipato attivamente. Ritengo che questa sia stata una legislatura che ha visto emanate delle norme di carattere ambientale di grandissimo interesse, dai reati ambientali, alla stessa legge 132 alla legge sulla green economy, tre leggi che hanno dato un’architettura istituzionale sui temi ambientali fondamentale per il Paese.
Riguardo alle politiche sul clima, l’Italia ha aderito agli impegni scaturiti dalla Cop di Parigi. Il Governo poi ha approvato sia la Strategia energetica nazionale (SEN), sia il programma di Sviluppo sostenibile adottando l’Agenda Onu 2030, sia la Strategia su Economia circolare. Per leggi e programmi, oggi l‘Italia è un paese che non ha nulla da invidiare a nessuno. Il grande problema non credo sia tanto la legislazione o i programmi ma piuttosto la loro applicazione; tra il quadro legislativo e di programmazione e quello esecutivo esiste un disallineamento, per cui non sempre chi esegue quotidianamente ciò che la legge stabilisce, lo fa seguendo le indicazioni suddette. Dirò di più: lo stesso Governo a volte è stato, a mio avviso, contradditorio, proponendo provvedimenti o atti che non erano pienamente in linea con le leggi ed i grandi accordi firmati. Non avere questa coerenza è uno degli aspetti più critici del nostro Paese.
Torniamo all’ISPRA. Anche se il suo insediamento risale a pochi giorni fa, quali cambiamenti pensa siano urgenti e necessari per far diventare ISPRA e l’SNPA la “voce” sull’ambiente, conferendo loro ancor più autorevolezza?
Autorevolezza ed autonomia sono due concetti che ritengo molto importanti, che però bisogna guadagnarsi con l’attività quotidiana, dimostrando di essere all’altezza delle richieste del mondo produttivo innovativo e di quelle dei cittadini che sempre di più chiedono di essere tutelati riguardo al loro ambiente di vita. Non c’è dubbio che il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente è un brand di grande prestigio, che ha bisogno di farsi conoscere di più e su questo occorre lavorare: è un’altra delle grandi sfide che abbiamo davanti.
Quanto e cosa porterà in ISPRA della sua esperienza in ambito istituzionale?
Sicuramente una rete di relazioni importanti, maturate in oltre vent’anni di attività in campo ambientale; ho una formazione di ricerca nel settore, per quanto molto indirizzata sul tema impatto ambientale in agricoltura, ho fatto l’amministratore locale e porto l’esperienza di due anni e mezzo di Direttore di un’agenzia molto importante, come l’ARPAE (Emilia Romagna), in ultima, ma non in ordine d’importanza, quella di parlamentare.
Sono sicuro che anche questa nuova esperienza sarà positiva e gratificante; la base su cui lavorare è buona, vediamo se saremo capaci di fare di più lavorando tutti insieme. Anche se non è frutto della mia attività istituzionale, spero di portare in ISPRA anche l’esperienza di squadra che ho conseguito praticando sport ad alto livello per molti anni; questa formazione la considero – e l’ho sempre considerata – fondamentale per ottenere risultati importanti.
Condivido e sottoscrivo l’affermazione “tra il quadro legislativo e di programmazione e quello esecutivo esiste un disallineamento, per cui non sempre chi esegue quotidianamente ciò che la legge stabilisce, lo fa seguendo le indicazioni suddette” avendo come riferimento la filiera istituzionale che, impegnata nella governance della gestione della risorsa idrica, deve misurarsi con le disposizioni/richieste comunitarie della Direttiva n. 2000/60/CE.