La protezione delle acque secondo Trump

Un articolo di Pietro Greco sulla rivista Micron, ripropone una nuova protesta della comunità scientifica americana contro le politiche ambientali del Presidente Trump.

La contestazione riguarda la nuova politica dell’acqua voluta dall’Amministrazione Trump e realizzata dall’Environmental Protection Agency (EPA), l’agenzia per la protezione per l’ambiente, e dall’Army Corps of Engineers, il corpo degli ingegneri dell’esercito, che hanno messo a punto un insieme di regole che praticamente svuota di significato il Clean Water Act, la legge sulle acque pulite voluta da Barack H. Obama, il precedente inquilino della Casa Bianca. Le nuove regole lascierebberp senza protezione alcuna la metà delle paludi e un quinto dei ruscelli e dei fiumi degli Stati Uniti.

La rete dei fiumi e dei laghi americani costituisce una rete connessa, grazie a infiniti affluenti e canali. Per decine di anni la protezione delle acque degli Stati Uniti (WOTUS) ha tenuto conto sia dei grandi fiumi e dei grandi laghi navigabili, oltre che delle acque marine interne, sia delle acque che li connettono (affluenti, ruscelli, canali, appunto). Questa rete connessa è stata il cuore del Clean Water Rule voluto da Obama non per capriccio personale, ma sulla scorta di 1.200 pubblicazioni scientifiche sintetizzate nel Connettivity Report redatto da 49 esperti e valutato in maniera rigorosa e indipendente da 25 esperti dello Scientific Advisory Board dell’EPA.

Ora l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente sembra obbligata a smentire i suoi stessi tecnici e scienziati. Una situazione imbarazzante, per chi lavora in quel prestigioso ente tecno-scientifico federale da sempre abituato a una sostanziale indipendenza dal potere politico.

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