Siamo in piena estate, e abbiamo chiesto ad Antonio Melley, dirigente del Settore Mare di Arpa Toscana, di rispondere ad alcune domande in tema di balneazione, facendo un quadro della situazione e delle principali criticità legate anche al cambiamento del clima.
Cosa emerge dal monitoraggio delle acque di balneazione in Toscana?
La qualità delle acque di balneazione in Toscana è stabilmente ad un livello di eccellenza nella stragrande maggioranza delle aree monitorate (tra il 93 ed il 98% aree in classe “eccellente” negli ultimi 15 anni), ma non mancano criticità, soprattutto nel caso di precipitazioni ed in prossimità dello sbocco a mare di piccoli e medi corsi d’acqua, alcuni dei quali sono divieti permanenti. Questa elevatissima qualità, oltre che dalle condizioni naturali di coste e fondali, è stata determinata da una serie di interventi fatti sul sistema di collettamento e trattamento delle acque reflue (depurazione), ma alcuni problemi devono ancora essere affrontati con decisione, soprattutto nella parte apuo-versiliese.
Registriamo qualche miglioramento o peggioramento?
Le variazioni da un anno all’altro sono determinate principalmente dalle condizioni meteorologiche, perché il principale fattore di contaminazione delle acque di balneazione è l’arrivo di reflui urbani non trattati e questo accade per due motivi:
- le piogge che, oltre una certa quantità, dilavano suoli e altre superfici trasportando varie sostanze fino al mare anche attraverso canali, fossi e condotte (acque “bianche”), senza poter essere gestite dal sistema di trattamento (depuratori) e spesso mescolate ad acque nere a loro volta ricche di batteri fecali;
- i guasti, le rotture, gli interventi urgenti e simili a condotte e impianti del sistema fognario che corre spesso lungo la costa nelle zone urbane e che non sono quasi mai programmabili.
Più piove sulla fascia costiera, quindi, e più queste criticità, alcune strutturali, come l’incompleta separazione delle reti di acque bianche e nere, creano inquinamento delle aree di balneazione localizzate in prossimità dei punti di arrivo in mare
Vogliamo spiegare in modo chiaro e semplice quali parametri vengono ricercati nel monitoraggio delle acque di balneazione e per quali obiettivi?
Il controllo delle acque di balneazione è disciplinato da una direttiva europea (2006/7/CE), recepita in Italia dal D.lgs 116/2008 ed applicata con il DM 30/03/2010, secondo un approccio epidemiologico sanitario che ha individuato in due batteri (Escherichia coli e enterococchi intestinali) dei buoni indicatori di contaminazione delle acque (marine e dolci) alla quale erano legate alcune patologie (soprattutto gastroenteriti) che aumentavano il rischio per salute pubblica.
Di conseguenza, le norme impongono il controllo, con frequenza almeno mensile, solamente di questi due parametri microbiologici, che, lo ribadiamo, sono indicatori di contaminazione fecale, in quanto normalmente presenti nell’intestino dell’uomo e della maggior parte degli animali d’allevamento (bovini, suoni, ovini, ecc. ), ma che resistono solo poche ore al dì fuori del loro ospite.
È probabile che insieme a questi batteri nelle acque contaminate vi siano altri potenziali patogeni (batteri e virus) o anche sostanze chimiche, ma non è prevista alcuna analisi specifica per una loro individuazione.
Ogni qualvolta si superano i limiti di concentrazione stabiliti dal DM 30/03/2010 per almeno uno dei due parametri, scatta il divieto temporaneo di balneazione tramite ordinanza del comune competente, che può essere rimossa solo a fronte di un nuovo prelievo conforme.
Oggi, quali strumenti sono più idonei a tutelare la salute dei bagnanti, quelli attuali rispondono a questa esigenza oppure potremmo pensare di affiancarvi altro?
Ci sono due tipi di problemi fondamentali: le tempistiche dei metodi di analisi microbiologiche che, dal momento del prelievo, portano ad un risultato definitivo dopo almeno 24-36; lo spettro infinito di sostanze potenzialmente presenti in un refluo di origine urbana, cioè una miscela di scarichi civili ed industriali provenienti spesso da vari agglomerati.
Per il primo problema, se non cambiano le norme, il solo miglioramento attualmente realizzabile è nella previsione degli inquinamenti tramite modelli meteorologici di dettaglio, laddove esistano, o segnalazioni da parte dei gestori del servizio idrico (in alcuni specifici casi anche dei consorzi di bonifica) di apertura dei by-pass (depuratori) o degli scolmatori fognari a seguito di piogge. In questi casi i comuni dovrebbero adottare immediatamente delle ordinanze di divieto preventivo senza attendere i risultati dei nostri controlli: negli ultimi 2-3 anni questa procedura è stata adottata dal Comune di Livorno e da alcuni altri con ottimi risultati sia per la tutela della salute pubblica sia per il contenimento dei tempi di rimozione sia per l’ottimizzazione dello sforzo organizzativo.
Dal punto di vista tecnico scientifico. oggi, si potrebbero adottare metodi più rapidi ed efficaci, come, ad esempio, quelli molecolari, per l’individuazione di batteri ma andrebbe fatta una sperimentazione a livello europeo ed una conseguente modifica della direttiva, che, a quanto ne sappiamo, è in corso di revisione. Analogamente potrebbero esserci altri parametri (temperatura e salinità, nutrienti inorganici, sostanza organica, ecc.) molto più veloci da determinare e che potrebbero, dopo attenta valutazione e sperimentazione, individuare l’arrivo di acque non depurate.
Per le sostanze chimiche, invece, il problema è più complesso. Se l’approccio resta quello di vietare di fare il bagno quando è accertato un rischio sanitario, bisogna prima misurare se e a quale concentrazione una determinata sostanza (o una miscela di più sostanze) può provocare una patologia attraverso il semplice contatto da immersione e questo non è un lavoro né semplice né forse fattibile, vista l’estrema diluizione che il mare determina. Inoltre, la necessità di avere responsi analitici rapidi su un numero elevato di campioni (in Toscana i controlli sono su quasi 400 punti ogni mese) rende la ricerca di molte sostanze tecnicamente ed economicamente molto impegnativa o impossibile, soprattutto per i microinquinanti come fitofarmaci, antiparassitari, ecc.
Gli effetti del cambiamento climatico incidono anche sulla qualità delle acque di balneazione, possiamo fare qualche esempio e soprattutto quali misure potrebbero essere previste per mitigare gli impatti e da chi?
Dato che le piogge e, più in generale, le condizioni meteo marine sono fattori critici per la balneazione, anche i cambiamenti climatici concorrono significativamente a complicare il quadro dei controlli e delle misure di gestione. Facciamo un paio di esempi per capire meglio:
- le cosiddette “bombe d’acqua”, cioè le forti precipitazioni localizzate in territori molto ristretti e praticamente imprevedibili nelle loro dinamiche, sempre più frequenti negli ultimi anni, sono state causa di numerosi episodi di inquinamento, in alcuni casi anche molto estesi.
- l’innalzamento delle temperature delle acque, marine e non, favorisce sicuramente la proliferazione dei batteri e la siccità estiva, diminuendo fino ad azzerare in alcuni casi la portata di fossi e torrenti, impedisce la diluizione dei reflui depurati che escono dagli impianti di trattamento, concentrando le cariche batteriche che arrivano in mare.
Il singolo cittadino può dare il suo contributo, se sì, in che modo?
I cittadini devono adottare comportamenti rispettosi dell’ambiente come il risparmio idrico, il corretto allacciamento alle reti fognarie di acque bianche (gronde, caditoie, ecc.) e nere (scarichi) e chiedere alle proprie amministrazioni di mettere in atto tutto quanto necessario per limitare gli sprechi dell’acqua, depurare e rinnovare le reti fognarie, eliminando commistioni, allacci abusivi e situazioni illegali.
Il turista, inoltre, dovrebbe fare scelte consapevoli prediligendo quei territori che adottano le migliori procedure per prevenire e limitare gli inquinamenti a mare, a cominciare dalle ordinanze preventive e dal risanamento dei corpi idrici. A questo proposito, è bene ricordare che la direttiva europea (2006/7/CE) prevede un sistema di classificazione delle acque di balneazione esclusivamente basato sui risultati delle analisi microbiologiche degli ultimi 4 anni ed obbligatorio per tutti i comuni, mentre altre classifiche (vele, bandiere blu, ecc.) contemplano tutta una serie di indicatori (dalla raccolta differenziata agli accessi per disabili o alla presenza di servizi igienici) che non hanno un diretto legame con la qualità delle acque, che pesa solo per un 5-10% sul punteggio totale, e sono a carattere volontario.