Oro Emiliano

PM10 e liquami

Da Adriano Zavatti, già direttore tecnico di Arpa Emilia-Romagna riceviamo questo contributo che volentieri pubblichiamo.

Caro Direttore,

ho letto con estremo interesse l’articolo “Ammoniaca e formazione di particolato secondario” di Autori vari, che la tua pregevole Newsletter Ambienteinforma, che leggo sempre volentieri, ha pubblicato da Ecoscienza, rivista di ARPAE Emilia-Romagna. In questa review di diversi studi condotti in anni dalle Agenzie Ambientali del bacino padano, aggiornati con dati nuovi assai recenti, si evidenzia l’importante contributo all’inquinamento atmasferico da PM10 degli inquinanti secondari di origine zooagricola, in particolare nei periodi invernali, in cui ogni contributo, anche minimo (ma non è questo il caso) può risultare significativo per il superamento dei limiti normativi. 

Dalla analisi dei dati più recenti, con la caratterizzazione degli inquinanti, mi è saltato all’occhio, in particolare, che, contrariamente a tutta la restante area padana, nelle stazioni di misura emiliano-romagnole, l’effetto del contributo delle emissioni diffuse dall’agricoltura, e segnatamente dagli spandimenti agronomici di liquami zootecnici, sia pressoché nullo nelle cosiddette “finestre” di deroga agli spandimenti durante il periodo invernale. 

Mi sembra che ciò sia, con tutta probabilità, da attribuire alla politica di prevenzione dei danni, non tanto all’aria, ma piuttosto alle acque, portata avanti nella regione Emilia-Romagna almeno dagli anni 80 del 900. In quell’epoca ci si rese infatti conto che i maggiori problemi dello smaltimento dei liquami zootecici prodotti dai diversi milioni di animali (in particolare suini) allevati era connesso alla mancanza di adeguati sistemi di stoccaggio, che costringevano gli agricoltori-allevatori a scaricare impropriamente liquami durante il lungo periodo invernale (novembre-febbraio) in cui la quiescienza agraria, impedisce l’utilizzazione dei principi fertilizzanti e le condizioni meteo favoriscono invece il ruscellamento superficiale dai campi.

La politica allora messa in atto in Emilia-Romagna, che trovò legittimazione nella Direttiva UE “Nitrati”, tardivamente recepita nel nostro Paese, consentì di limitare fortemente il fenomeno. Da ciò pare possa derivare la indifferenza del mondo agricolo emiliano-romagnolo alla necessità di utilizzo delle deroghe invernali, essendo dotati di stoccaggi sufficienti a far fronte a prolungato periodi di divieto di spandimento e quindi da mettere in relazione al mancato effetto negativo di emissione in atmosfera di inquinanti secondari evidenziato altrove.

I dati sopra richiamati, infatti, sembrano invece testimoniare che nelle altre regioni padane tale politica di prevenzione non sia stata messa in atto con altrettanta efficacia, con la conseguenza di costringere a concedere deroghe per lo smaltimento sul suolo, per periodi ristretti di tempo, data la carenza di importanti stoccaggi a bordo degli allevamenti, e la conseguente emissione degli inquinanti indesiderati. 

E’ evidente che la limitazione della concentrazione di PM10 si può realizzare solamente con una azione coordinata sui driver del fenomeno, in questo caso costringendo gli allevatori a dotarsi di sistemi di stoccaggio volumentricamente adeguati per il periodo invernale.  Se ci si è riusciti in Emilia-Romagna, dove i lagunaggi aerobico-facoltativi adottati da decenni hanno sortito un positivo effetto di prevenzione dell’inquinamento delle acque e, come visto, anche dell’aria, non si vede perché ciò non possa avvenire anche in tutto il restante bacino padano. Si tratta solamente di volontà politica.

Ti ringrazio dell’attenzione e ti saluto cordialmente

Adriano Zavatti 
già direttore tecnico ARPA ER

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