Qualità delle acque di fiumi e laghi in Italia ed Europa, c’è molto da fare per raggiungere lo stato “buono”

In Italia solo il 43% dei fiumi e il 20% dei laghi raggiungono l’obiettivo di qualità “buono” per lo stato ecologico; presentano invece uno stato chimico buono il 75% dei fiumi e il 48% dei laghi (dati SNPA). È evidente come ancora ci sia molto da lavorare perché sia rispettato quanto prevede la Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE), che mirava al raggiungimento del buono stato ecologico e chimico di tutti i corpi idrici in Europa entro il 2015.

Il fatto che questi obiettivi non siano stati ancora raggiunti dipende da molti fattori, tra cui gli insufficienti adeguamenti ed efficientamenti dei sistemi di depurazione a servizio delle attività industriali e ancora la scarsa innovazione tecnologica e ammodernamento degli stabilimenti, come sottolinea Legambiente nel suo dossier H2O-La chimica che inquina l’acqua che dedica un focus specifico alle sostanze emergenti. 

A questo proposito l’Agenzia europea per l’ambiente nel suo briefing Urban waste water treatment for 21st century challenges afferma la necessità di ulteriori investimenti per rendere gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane idonei a far fronte alle difficili sfide poste dalla presenza di antibiotici e altri microinquinanti nelle acque reflue e quindi anche in quelle superficiali.

Se infatti per molto tempo i nostri fiumi sono stati contaminati da scarichi inquinanti provenienti dalle lavorazioni industriali e non solo, oggi si aggiungono altre sostanze e composti chimici di quotidiano utilizzo che inquinano i corpi idrici, dai fitofarmaci, ai farmaci a uso umano e veterinario, ai pesticidi di nuova generazione, agli additivi plastici industriali, ai prodotti per la cura personale, ai nuovi ritardanti di fiamma, fino alle microplastiche. Si tratta di sostanze anche presenti in piccole concentrazioni, ma che possono generare un “effetto cocktail” se combinate per molto tempo tra loro, come descritto anche dall’Agenzia europea per l’ambiente, nel suo rapporto sul tema Chemicals in European waters.

A sostegno della Direttiva Quadro sopra citata, la Direttiva 2013/39/UE ha messo a punto un meccanismo per fornire informazioni attendibili sul monitoraggio di queste sostanze emergenti che possono inquinare l’ambiente acquatico europeo. Questo nuovo meccanismo, chiamato Watch List, prevede il monitoraggio di sostanze emergenti, su tutto il territorio europeo, almeno per un periodo di 4 anni e su un numero ristretto di stazioni significative. Le sostanze emergenti individuate saranno poi inserite nella lista delle sostanze prioritarie da monitorare per definire lo stato chimico delle acque.

In Italia Ispra è il soggetto attuatore, in accordo con le ARPA-APPA e le Regioni, per la definizione di modalità e punti di monitoraggio di tali sostanze emergenti come indicato nella Watch List. Dal 2016 al 2018 sono state condotte 124 campagne di monitoraggio in 23 stazioni di misura distribuite su tutto il territorio nazionale e rappresentative per la possibile presenza degli inquinanti attenzionati: a valle di impianti di trattamento acque reflue urbane, alla confluenza di corpi idrici con impatti noti oppure situati presso luoghi turistici su laghi e acque marino costiere.

Secondo i dati riportati da Ispra il periodo di campionamento è stato ragionato e individuato in funzione del maggiore utilizzo delle sostanze stesse. Ad esempio i mesi di aprile, maggio e giugno sono stati individuati come rappresentativi per gli erbicidi, mentre il trimestre giugno, luglio e agosto è stato definito come idoneo per gli insetticidi; per le sostanze antibiotiche o i medicinali è stato scelto il periodo invernale, mentre sostanze utilizzate anche nella produzione di molte creme cosmetiche sono state analizzate nelle stazioni balneari alla fine della stagione turistica.

Secondo i risultati della prima campagna di indagine del 2016 le concentrazioni della maggior parte delle sostanze ritrovate sono generalmente vicine o minori del Limite massimo ammissibile del metodo di rilevazione tranne per alcuni campioni in cui il diclofenac arriva ad una concentrazione di oltre 600ng/L, dell’azitromicina che arriva ad una concentrazione di oltre 400ng/L, della claritromicina che arriva a 200ng/L e dell’Imidacloprid che raggiunge gli oltre 300ng/L.

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