Dati e informazioni sul mare, il ruolo chiave di Snpa

Con il decreto legislativo n. 190/2010 di recepimento della direttiva quadro sulla Strategia per l’ambiente marino, l’Italia si è dotata del quadro giuridico per affrontare organicamente ed efficacemente la protezione dei suoi mari basata sulla effettiva conoscenza dello stato dell’ambiente marino su scala nazionale.
Il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm) ha consentito, attraverso il coordinamento del finanziamento pubblico previsto dal Dlgs 190/2010, di monitorare lo stato della qualità dei mari che circondano l’Italia.

I dati ottenuti dal Programma nazionale di monitoraggio per la strategia marina sono stati in gran parte raccolti ed elaborati dal Sistema nazionale della protezione dell’ambiente (Snpa) e valorizzati dal lavoro svolto, fianco a fianco, dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (Arpa) e da Ispra.

A seguito di specifici accordi che il Mattm ha stipulato con Ispra e con le Arpa capofila, rappresentative di ciascuna delle 3 sottoregioni marine a cui si riferisce la strategia marina, il Snpa è diventato il “cuore” tecnico-scientifico e operativo dell’implementazione della direttiva sulla Strategia marina, in quanto provvede alla raccolta, gestione, valutazione ed elaborazione dei dati ambientali marini e al contempo è chiamato a promuovere una corretta e aggiornata informazione al cittadino.

Inoltre, il Snpa è presente nei tavoli tecnici comunitari in rappresentanza dell’Italia e partecipa attivamente ai meeting per l’adozione dell’approccio ecosistemico nell’ambito della Convenzione di Barcellona per la protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento, a supporto del Mattm.

La complessità della direttiva europea, articolata secondo 11 descrittori (biodiversità, specie non indigene, pesca, reti trofiche, eutrofizzazione, integrità del fondale marino, condizioni idrologiche, contaminanti, contaminanti nei prodotti della pesca, rifiuti marini, rumore sottomarino), richiede un impegno costante e gravoso sia a livello di attività di monitoraggio in mare, sia a livello di definizione e applicazione di strumenti di valutazione della qualità dell’ambiente marino adeguati e concertati in ambito Ue o di sottoregione/regione marina.

I numeri del monitoraggio Snpa
Per renderci conto dell’imponente sforzo di campionamento del ciclo di monitoraggio conclusosi all’inizio del 2018 con l’invio del report alla Commissione europea, basti citare qualche numero: quasi 4.000 stazioni campionate, oltre 65.000 campioni analizzati, 64 spiagge monitorate per i rifiuti spiaggiati, oltre 2.000 km2 di superficie marina monitorata per i rifiuti galleggianti, oltre 400.000 m2 di superficie marina campionata per i microrifiuti, 289 stazioni monitorate per i rifiuti sul fondo, 155 aree investigate con metodi geofisici per lo studio dell’habitat coralligeno e altri habitat protetti, 35 aree investigate per lo studio dei fondali marini sottoposti a danno provocato dagli attrezzi da pesca, 573 transetti tramite il Rov (sottomarino a comando remoto), 138 cale per lo studio delle pressioni sul fondale marino.

Quali rifiuti si trovano sulle spiagge italiane
Come è noto, la problematica relativa alla presenza di rifiuti solidi in ambiente marino è emersa soprattutto nell’ultimo decennio. Le attività di ricerca condotte negli ultimi anni stanno mettendo sempre più in evidenza come, oltre agli aspetti negativi legati a un deturpamento estetico del paesaggio marino, la presenza e l’accumulo di rifiuti marini può determinare conseguenze negative sia per gli ecosistemi marini, sia per la salute umana.

Grazie al programma di monitoraggio condotto per l’attuazione della Strategia marina, è oggi possibile derivare una prima base conoscitiva di riferimento sulla quantità dei rifiuti marini nei diversi comparti (in superficie, sul fondo, sugli arenili). I dati parlano chiaro: molti litorali italiani purtroppo sono diventati delle piccole discariche – su 64 spiagge monitorate sono stati trovati in media più di 700 rifiuti spiaggiati ogni 100 m lineari di spiaggia. La plastica (bottiglie e sacchetti di plastica, contenitori per alimenti, cassette per il pesce in polistirolo, lenze da pesca in nylon ecc.) si conferma come il materiale più comunemente rinvenuto, con una percentuale rispetto al totale dei rifiuti pari all’80%.

Il restante 20% è composto da altri tipi di rifiuti come i rifiuti sanitari (cotton fioc e assorbenti), vetro e ceramica (materiali da costruzione e lampadine), carta e cartone (pacchetti e mozziconi di sigaretta, tetra pak), metallo (bombolette spray e lattine), gomma (palloncini e pneumatici), tessuti (abbigliamento, tappezzeria ecc.), legno (bastoncini di gelati, cassette ecc.).

Anche sui fondali la presenza dei rifiuti marini è risultata significativa. Sono state monitorate 289 stazioni a diversi livelli batimetrici compresi tra 10 e 800 m e il valore medio degli oggetti ritrovati per km2 è stato tra 66 e 99 oggetti. Anche in questo caso, la plastica è preponderante, con un quantitativo pari al 77%; la tipologia più diffusa è quella delle buste, bottiglie, involucri per alimenti e attrezzi da pesca.

I rifiuti galleggianti e i microrifiuti
Lo sforzo di campionamento per valutare l’entità del problema dei rifiuti galleggianti è stato altrettanto notevole. Circa 30.000 km di transetti lineari sono stati monitorati in condizioni standard, per un totale di 2.725 km2 di area indagata. In totale sono stati registrati 7.746 oggetti di dimensioni superiori a 20 cm, dei quali l’88% è composto da rifiuti marini di origine antropogenica e il 12% è di origine naturale. La densità media dei rifiuti galleggianti rinvenuta è stata di circa 3 oggetti ogni km2.

In colonna d’acqua sono presenti non solo i macrorifiuti, ma anche i cosiddetti microrifiuti, ossia particelle di dimensioni inferiori a 5 mm. La microplastica in mare ha una doppia provenienza: primaria e secondaria. La provenienza primaria è riferibile alla produzione di micro-particelle quali pellets e microgranuli usati nella cosmetica o prodotti abrasivi di pulizia prodotti dalle industrie. La microplastica di origine secondaria deriva invece dalla frammentazione e degradazione in piccole particelle delle macroplastiche.

Considerato il notevole aumento nella produzione di materiale plastico avvenuto negli ultimi anni e i lunghi tempi di degradazione di tale materiale, è ipotizzabile che l’abbondanza delle microplastiche di origine secondaria nell’ambiente marino possa tendere ad aumentare nel corso dei prossimi anni.
La densità media di micro-particelle rilevata nei nostri mari è pari a 179.023 micro-particelle per km2, per un totale di superficie marina campionata di 426.564 m2, equivalente a circa 60 campi da calcio. Se consideriamo che la superficie delle acque territoriali italiane (12 miglia dalla linea di base) è di circa 155.000 km2, si può stimare che circa 28 miliardi di particelle galleggino intorno all’Italia.

La tartaruga marina Caretta caretta, un buon bioindicatore
A conferma dell’abbondanza dei rifiuti marini presenti nei nostri mari sono i risultati ottenuti dall’analisi dei rifiuti marini ingeriti dalla tartaruga marina Caretta caretta. L’ampia distribuzione geografica della specie, la sua presenza in differenti habitat e la caratteristica di ingerire i rifiuti marini rendono Caretta caretta un buon bio-indicatore per valutare l’impatto dei rifiuti in mare, soprattutto della plastica. Dalle analisi effettuate su 150 esemplari di tartarughe morte spiaggiate è emerso che il 68% degli individui presentava plastica ingerita.

Dai dati del programma nazionale di monitoraggio della strategia marina emergono, per tutti i comparti investigati, valori di abbondanza dei rifiuti marini comparabili a quelli riscontrati da altri paesi del Mediterraneo. Questo dimostra la natura transfrontaliera della problematica, che necessita pertanto una stretta ed efficace attività di cooperazione regionale per essere affrontata adeguatamente. In questo contesto, risultano di fondamentale importanza gli impegni assunti dai paesi mediterranei e dall’Unione europea nell’ambito della Convenzione di Barcellona per la protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento.

La standardizzazione delle metodologie, il miglioramento della capacità analitica, il continuo aggiornamento e formazione degli operatori preposti alle attività di monitoraggio sono alla base di un processo di monitoraggio e valutazione dell’ambiente marino che deve essere trainante per indirizzare corrette politiche ambientali.

L’impegno dell’Italia in quest’ambito è consistente, basti pensare che già dal 2018 è scattato lo stop ai sacchetti di plastica e quindi l’obbligo per i supermercati e la grande distribuzione di fornire ai consumatori sacchetti biodegradabili da utilizzare nel reparto ortofrutticolo. Sempre nello stesso anno è stata emanata la legge di bilancio (legge 27 dicembre 2017, n. 205) che vieta, dal 2019, la commercializzazione e la produzione sul territorio nazionale dei bastoncini per la pulizia delle orecchie di materiale plastico.
La legge ha previsto anche che dal 1 gennaio 2020 è vietato mettere in commercio prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente contenenti microplastiche.

Il 24 ottobre 2019, è stato approvato alla Camera dei deputati il disegno di legge “Salvamare” per il risanamento dell’ambiente marino. Il Ddl prevede soluzioni normative per la problematica dei rifiuti abbandonati in mare; soluzioni per il conferimento da parte dei pescatori dei rifiuti “accidentalmente” raccolti in mare durante le operazioni di pesca. Inoltre, la formazione e la sensibilizzazione per aumentare la conoscenza e favorire l’educazione del pubblico e degli operatori economici alla prevenzione e al contrasto dei rifiuti marini è tra le misure definite attraverso il Dpcm 10 ottobre 2017 della Strategia marina.

Infine, l’Italia ha avviato il percorso di recepimento della direttiva Ue n. 2019/904. Entro il 2021, gli stati membri dovranno vietare l’uso di una serie di articoli in plastica monouso: le posate di plastica monouso (forchette, coltelli, cucchiai e bacchette), i piatti di plastica monouso, le cannucce di plastica, i bastoncini di plastica per palloncini, i contenitori per alimenti e tazze in polistirolo espanso. Secondo la direttiva, inoltre, entro il 2029 gli Stati membri dovranno raccogliere attraverso la differenziata il 90% delle bottiglie di plastica. La normativa prevede anche che entro il 2025 le bottiglie di plastica debbano contenere almeno il 25% di contenuto riciclato, per passare al 30% entro il 2030.

Occorre dunque una svolta che passa anche, e forse soprattutto, attraverso una rivoluzione culturale: cambiare modo di pensare, cambiare modo di agire, perché il problema non si risolve semplicemente negando o riducendo l’uso della plastica; occorre usarla e soprattutto smaltirla in modo responsabile, e questo dipendedal comportamento di ognuno e di tutti noi allo stesso tempo oltre che dalle imprescindibili decisioni delle istituzioni e del mondo imprenditoriale.

Stefano Laporta
Presidente Ispra e Snpa

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