Si fa presto a dire Green

Giovanni Barca, già direttore generale di Arpa Toscana, ha pubblicato su Astrolabio, la rivista degli Amici della Terra, un articolo con il quale intende contribuire a definire una metodologia condivisa di rating ambientale per contenere il fenomeno del greenwashing, valutare e valorizzare i prodotti effettivamente virtuosi, anche da un punto di vista finanziario. Lo riproponiamo qui, per l’interesse che tale tema riveste, con l’intento anche di aprire un dibattito anche ad altri contributi sul tema.

Premessa

Nella comunicazione di tutti i giorni, sono molti i messaggi che promuovono la vendita di prodotti o il sostegno di strategie in nome dell’ambiente e della natura ma che, in concreto, incidono poco sulla loro effettiva tutela. Spesso, il mondo della produzione e della finanza evoca la sostenibilità ambientale ma, non sempre, comportamenti ed azioni reali sono verificate da soggetti terzi competenti che possano garantire al consumatore – e alla collettività in generale- che gli obiettivi della sostenibilità siano oggettivamente ed effettivamente conseguiti. Per evitare il greenwashing e dare sostegno a imprese e prodotti realmente orientati alla sostenibilità, è necessario condividere un metodo il più possibile oggettivo che consenta di valutare, da parte di soggetti indipendenti e qualificati, il rating di aziende e prodotti in base ad una contabilità ambientale trasparente.

Tra le diverse azioni di un rating ambientale (che dovrà essere preceduto da una specifica raccolta dati, ovvero da uno specifico rapporto ambientale) vi sono:

– verificare la conformità alle norme ambientali cui l’azienda è sottoposta a fronte delle frequenti modifiche normative;
– identificare, preventivamente, potenziali problemi o criticità connesse con i processi in atto nell’azienda;

– effettuare periodiche verifiche tese al miglioramento continuo delle prestazioni ambientali;

– cogliere tutte le opportunità di mercato e di finanziamento per perseguire un effettivo impegno nei confronti dell’ambiente;

– migliorare la comunicazione con il pubblico e gli investitori divulgando risultati ambientali concreti a fronte di misurazioni e valutazioni tecniche ben argomentate;

– facilitare l’adeguamento dei Sistemi di Gestione Ambientale a standard quali UNI, ISO 14001 o EMAS.

La certificazione ambientale è indispensabile quando l’Azienda intenda quotarsi in borsa e classificarsi tra le Aziende ESG. L’acronimo ESG sta per Environmental Social Governance e si utilizza in ambito economico/finanziario per indicare tutte quelle attività legate all’investimento responsabile (IR) quello cioè che, perseguendo gli obiettivi tipici della gestione finanziaria, tiene anche in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance. Sia gli investitori che gli operatori finanziari, infatti, hanno ben presente che le aziende attente ai temi ambientali e sociali corrono minori rischi reputazionali, sono meno inclini a comportamenti sanzionabili e ad incorrere in condanne e costosi risarcimenti.

Dalla lettura del Rapporto sullo stato dell’ambiente dell’Agenzia Europea, emerge che le politiche ambientali non sono solo uno specifico settore d’intervento ma devono essere considerate parte integrante del vivere comune. Da questo punto di vista pare evidente che l’affidabilità di un’azienda o di un’amministrazione non possa essere valutata soltanto in base alla propria capacità di far fronte agli impegni economico finanziari ma anche in ragione dei propri doveri nei confronti dell’ambiente.

L’Agenzia Europea per l’Ambiente suggerisce, infatti, di agire in queste aree:

  • Rafforzare l’attuazione, l’integrazione e la coerenza delle politiche;
  • Sviluppare quadri politici a lungo termine più sistemici e obiettivi vincolanti;
  • Dirigere l’azione internazionale verso la sostenibilità;
  • Promuovere l’innovazione nella società;
  • Aumentare gli investimenti e riorientare la finanza;
  • Gestire i rischi e garantire una transizione socialmente equa;
  • Collegare la conoscenza all’azione.

E aggiunge che “il raggiungimento degli obiettivi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e dell’accordo di Parigi richiederà un’azione urgente in ciascuna di queste aree nei prossimi 10 anni.

Per intenderci, l’Europa non raggiungerà il suo obiettivo di sostenibilità basata sul «vivere bene entro i limiti del nostro pianeta» semplicemente promuovendo la crescita economica e cercando di gestire gli effetti collaterali dannosi con strumenti di politica ambientale e sociale. Piuttosto, la sostenibilità deve diventare il principio guida per politiche e azioni ambiziose e coerenti in tutta la società. Per favorire profondi cambiamenti occorrerà che tutte le aree e tutti i livelli di governo lavorino insieme e sfruttino l’ambizione, la creatività e il potere di cittadini, imprese e comunità.”(http://www.arpat.toscana.it/notizie/arpatnews/2020/006-20/il-rapporto-sullo-stato-dellambiente-in-europa)

Se diamo credito ai tecnici preposti alla tutela dell’ambiente, agire solo con leggi di settore non basta a tutelare il pianeta, è necessario agire a livello complessivo partendo proprio dai prodotti: scegliendo quali produrre, in che modo e come finanziarli.

La scelta delle matrici e degli indicatori ambientali. Riferimenti.

In attesa di uno specifico pronunciamento della Commissione Europea, per definire una proposta, è utile rammentare i metodi che vengono normalmente utilizzati per la contabilità ambientale.

Il modello DPSIR. La definizione di indicatori ed indici che siano in grado di rappresentare una determinata matrice ambientale, sia nell’ambito di processi di valutazione della matrice stessa, sia come reporting dello stato dell’ambiente, avviene generalmente attraverso l’utilizzo di schemi in grado di mettere in relazione le pressioni esercitate sulla matrice, lo stato della matrice stessa e le risposte che già ci sono o che sono ipotizzabili per il futuro. 
Nel caso specifico, lo schema di riferimento è appunto quello siglato DPSIR, cioè Driving forces, Pressure, State, Impact e Response. Lo schema è stato adottato dalla EEA (European Environmental Agency), in modo da proporre con esso una struttura di riferimento generale, un approccio integrato nei processi di reporting sullo stato dell’ambiente, effettuati a qualsiasi livello europeo o nazionale. Il modello   è servito negli anni per valutare piani e programmi da un punto di vista ambientale ed è stato posto alla base di diversi Piani d’Azione Ambientale. Tale modello può essere utilizzato non solo per piani e programmi ma anche da svariate aziende e comparti produttivi al fine di contabilizzare le pressioni sull’ambiente, orientare le politiche necessarie alla mitigazione degli impatti nonché per centrare gli obiettivi ambientali proposti a livello internazionale e nazionale.

Il regolamento Emas. Se prendiamo a riferimento il Regolamento Emas N. 1221/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio, il metodo di certificazione ambientale dovrebbe prendere in considerazione almeno i seguenti aspetti principali:

Il calcolo dei gas climalteranti e dell’impronta ecologica- il Life Cycle Assessment. Il GHG protocol del Word Resource Istitute per il calcolo dell’impronta ecologica, valuta:

– Emissioni dirette: emissioni prodotte da una sorgente di proprietà o controllata dall’organizzazione (Scope 1);

– Energia, emissioni indirette: emissioni dovute dalla produzione di energia acquistata e usata dall’organizzazione (elettricità, vapore e calore) (Scope 2);

– Altre emissioni indirette: estrazione e produzione dei materiali e combustibili acquistati, emissione da viaggi di affari degli impiegati, trasporto di prodotti e materiale, produzione di rifiuti gestiti da aziende esterne (Scope3).

Tale modello, in linea di massima, assorbe anche il Life Cycle Assessment (LCA) che è una metodologia un po’ complicata, ma analitica e sistematica, che valuta l’impronta ambientale di un prodotto o di un servizio nel suo intero ciclo di vita. Il calcolo permette la valutazione dell’impronta ambientale di un prodotto dalle fasi di estrazione delle sue materie prime, alla sua produzione, sua distribuzione, uso e sua dismissione finale, restituendo i valori di impatto ambientale associati al suo ciclo di vita.

Ecolabel. Il marchio di qualità ecologica dell’Unione Europea (Ecolabel UE) contraddistingue prodotti e servizi che, pur garantendo elevati standard prestazionali, sono caratterizzati da un ridotto impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita. Ecolabel UE è stato istituito nel 1992 dal Regolamento n. 880/92 ed è oggi disciplinato dal Regolamento (CE) n. 66/2010 in vigore nei 28 Paesi dell’Unione Europea e nei Paesi appartenenti allo Spazio Economico Europeo – SEE (Norvegia, Islanda, Liechtenstein). È un’etichetta ecologica volontaria basata su un sistema di criteri selettivi, definito su base scientifica, che tiene conto degli impatti ambientali dei prodotti o servizi lungo l’intero ciclo di vita ed è sottoposta a certificazione da parte di un ente indipendente (organismo competente). La prestazione ambientale è valutata su base scientifica analizzando gli impatti ambientali più significativi durante l’intero ciclo di vita del prodotto o del servizio, tenendo anche conto della durata della vita media dei prodotti e della loro riutilizzabilità/riciclabilità, della riduzione degli imballaggi e del loro contenuto di materiale riciclato.

La Tassonomia verde. La nuova Commissione Europea sta proseguendo il lavoro già avviato dalla precedente per definire una specifica tassonomia (http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/1900). In linea di massima, l’orientamento della Commissione per valutare la sostenibilità aziendale nonché dei relativi prodotti finanziari, si basa sui seguenti indicatori:

  • mitigazione dei cambiamenti climatici
  • adattamento ai cambiamenti climatici;
  • protezione e uso sostenibile dell’acqua e delle risorse marine;
  • transizione a un’economia circolare, compresa la prevenzione dei rifiuti e l’aumento dell’utilizzo di materie prime secondarie;
  • prevenzione dell’inquinamento;
  • protezione della biodiversità e ripristino degli ecosistemi degradati.

Lo scorso lunedì 9 marzo, il gruppo di esperti (TEG), prevalentemente composto da economisti nominati dalla Commissione, ha definito un documento che, sulla base degli indicatori di cui sopra, ha stabilito quali sono i settori verdi e quali transizionali, ovvero le attività che possono diventare sostenibili grazie ad una profonda trasformazione. Sulla base di questo documento la Commissione nominerà un gruppo di rappresentanti di tutti i portatori d’interesse (aziende, università, organizzazioni sindacali, Ong, banche, assicurazioni et altri) che avrà il compito di supportare la Commissione per la definizione del provvedimento definitivo. Il documento del gruppo d’esperti, ad oggi disponibile solo in inglese, pare ad una prima lettura assai complicato.

Il percorso per la formale definizione di uno standard Europeo di rating ambientale è ancora lungo. Alcuni elementi sono fortemente auspicabili:

1) quale che sia il modello che verrà scelto, la certificazione ambientale dovrà essere rilasciata da un soggetto terzo e non da ogni singola azienda o istituto finanziario;

2) la scelta degli indicatori ambientali non potrà riguardare soltanto quelli orientati alla mitigazione dei cambiamenti climatici bensì a tutti quelli normalmente preposti alla definizione dello Stato dell’Ambiente secondo i parametri dell’AEA;

3) il percorso sin ora intrapreso dalla Commissione pare fortemente condizionato dalle dinamiche economiche come si desume anche dalla composizione del gruppo di esperti TEG. I rappresentanti italiani del TEG, per esempio, sono uno di Borsa Italiana e l’altro di Cassa Depositi e Prestiti. Come richiedono il senso comune e l’Agenzia Europea dell’Ambiente, è indispensabile che gli orientamenti generali sulle politiche per lo sviluppo sostenibile vengano dati da chi, d’ambiente, è esperto;

4) il percorso per la definizione del provvedimento della Commissione dovrebbe prevedere una fase di pubblica consultazione, come è conveniente per ogni piano strategico. Parrebbe altrimenti esuberante la procedura di VAS su un qualsiasi piano di settore, mentre non si sottopone a consultazione una questione che potrebbe condizionare miliardi d’investimenti e la stragrande maggioranza del mondo produttivo;

5) in analogia con quello che da molto tempo avviene nel settore delle banche e della finanza lo Standard Europeo dovrebbe avere il connotato di linea guida, e non definire un algoritmo di calcolo vero e proprio.

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