Agenzia europea per l’ambiente: il tessile nell’economia circolare europea

I tessuti sono fondamentali per la nostra società, ci permettono di avere vestiti, scarpe, ma anche tappetti, tende ed altri oggetti per la nostra casa, i nostri uffici e gli spazi pubblici. Molte delle pressioni e degli impatti legati alla produzione di abiti, scarpe e materiale tessile per la casa non avvengono in Europa ma in altre parti del mondo. La tendenza, negli ultimi anni, è stata quella di produrre tessuti, ma anche abbigliamento, per lo più in Asia. Gli impatti si manifestano a tutti i livelli della catena produttiva.
Le fibre più utilizzate sono quelle sintetiche che richiedono un forte impiego di petrolio, seguite da quelle naturali in cotone che comportano il consumo di suolo e acqua. Vengono acquistati sempre più abiti ma vengono utilizzati per un tempo minore rispetto al passato.

Una volta dismessi gli abiti vengono esportati prevalentemente nei paesi dell’Est Europa o in Asia e Africa; quelli riciclati, invece, sono un numero piuttosto basso; infine, quelli che fuoriescono dal circuito del riciclo e del riuso finiscono o inceneriti o in discarica.

La produzione di tessile comporta significativi impatti sull’ambiente, sul clima e sulla società in quanto utilizza risorse, acqua, suolo e sostanze chimiche ed emette sostanze gassose in atmosfera oltre ad inquinanti di varia natura.
Considerando anche le pressioni derivanti dall’intera catena, il consumo a livello europeo di vestiti, scarpe e tappezzeria per la casa è il 4° più alto – o il quarto peggiore – per utilizzo di materie prime e acqua (dopo il cibo, il settore immobiliare e i trasporti). Risulta il secondo per consumo di suolo e il quinto per emissioni di gas a effetto serra.

Per quanto riguarda l’uso di materie prime, il settore tessile si pone al quarto posto, dopo quello alimentare, quello legato ai consumi domestici e trasporti. Alcuni dati pubblicati dall’Unione Europea nel 2017 stimano che in questi processi produttivi siano state utilizzate 1,3 tonnellate di materie prime e 104 metri cubi d’acqua a persona. Di queste 85% dei materiali e il 92% d’acqua consumati in altre parti del mondo.

Per quanto riguarda, invece, il consumo di suolo, questo comparto si pone al secondo posto per pressione sul suolo, superato solo dal comparto alimentare. La maggiore parte degli impatti (93%), anche in questo caso, si hanno fuori dall’Unione Europea e per lo più sono legati alla coltivazione del cotone.

Per quanto concerne le emissioni, possiamo dire che queste risultano essere climalteranti e che questo comparto industriale immette in atmosfera dalle 15 alle 35 tonnellate di CO2 equivalente per tonnellata di tessile prodotto, posizionandosi al quinto posto tra i settori industriali che emettono il maggiore numero di emissioni in atmosfera. Si stima a livello europeo che il comparto tessile abbia generato 654 kg di CO2 equivalente per persona nel 2017.

Il settore tessile utilizza anche una grande quantità e varietà di prodotti chimici, circa 3500 sostanze sono generalmente utilizzate nella produzione di tessuti, di queste 750 sono classificate come pericolose per la salute umana e 450 per l’ambiente. Si stima che circa il 20% dell’inquinamento idrico sia dovuto ad attività legate al tessile (come ad esempio il finissaggio) che spesso determinano anche problemi di salute ai lavoratori del settore e alle comunità locali.

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Non meno importante il problema legato al rilascio di micro e nano fibre durante i processi di lavaggi dei capi in fibre sintetiche. Queste finiscono nell’ambiente in particolare nei corsi d’acqua e attraverso questi nei mari. Si stima che ogni anno, in questo modo, arrivino negli oceani circa mezzo milione di tonnellate di micro fibre plastiche.

Il tessile non provoca solo impatti importanti in termini ambientali ma anche sociali, infatti, i lavoratori di questo settore ricevono paghe molto basse e lavorano in condizioni di scarsa sicurezza e rispetto delle normativa.
Ridurre le pressioni ambientali e climatiche derivanti dal tessile, mantenendo i vantaggi occupazionali ed economici, è l’obiettivo che si pone l’economia circolare, che punta a politiche effettive che coinvolgano i materiali, il design, la produzione, la distribuzione, l’uso e il riuso, la raccolta e il riciclo.

Certo non ci si può aspettare che tutto avvenga da sé, bisogna mettere in campo delle politiche di regolazione di questo comparto oltre che misure di supporto al cambiamento, come

  • politiche e normative che stabiliscano i requisiti dei prodotti sia in termini di qualità che di salubrità
  • forte domanda di fibre sostenibili
  • marchi e standards di qualità.

Dobbiamo quanto prima uscire da un modello produttivo lineare che, negli ultimi anni, è diventato sempre più veloce, più “usa e getta”, puntando su

  • buone condizioni di lavoro
  • basse emissioni
  • uso efficiente delle risorse
  • uso sicuro dei prodotti chimici
  • acquisti verdi
  • ecodesign
  • responsabilità del produttore
  • standard e marchi di qualità
  • etichette che garantiscano il rispetto dell’ambiente e dei lavoratori durante l’intero ciclo di produzione.

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