La scienza c’è

Correva l’anno 1979 quando il famoso Charney report svelava al mondo che l’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera avrebbe modificato la temperatura media globale. Per la prima volta la scienza aveva trovato una correlazione certa tra le attività antropiche e il cambiamento climatico. Ma «nonostante 40 anni di importanti trattative globali, non siamo riusciti a far fronte a questa crisi. Il cambiamento climatico è arrivato e sta accelerando più rapidamente di quanto molti di noi si aspettassero». Scrivono così su BioScience William J. Ripple e Christopher Wolf della Oregon State University che, insieme a oltre 11.200 scienziati e scienziate provenienti da 153 paesi (250 sono italiani), hanno appena dichiarato l’emergenza climatica e stabilito sei azioni globali da intraprendere per limitare i danni in modo efficace.

Della dichiarazione degli scienziati si parla in un articolo di Francesca Buoninconti sulla rivista Micron.

La dichiarazione arriva come un duro schiaffo ad appena un mese dalla petizione firmata da 500 scienziati clima-negazionisti e indirizzata al segretario generale delle Nazioni Unite. Una petizione piena di “fuffa climatica”, tra i cui firmatari si rilevano molti tecnici di compagnie petrolifere, in pieno conflitto d’interessi.

Gli 11.000 scienziati che hanno dichiarato l’emergenza climatica, invece, i conti sul clima li hanno fatti, e pure bene. Mettono nero su bianco i grafici che illustrano l’andamento di diversi fattori chiave del cambiamento climatico negli ultimi 40 anni, da quando cioè gli scienziati di 50 nazioni si sono incontrati alla Prima Conferenza mondiale sul clima a Ginevra nel 1979.

I grafici sono di una chiarezza disarmante, si ha un colpo d’occhio su tutti i trend globali degli ultimi quattro decenni e la situazione non è rosea. Uno dopo l’altro, gli scienziati snocciolano i dati sulla crescita della popolazione, sul tasso di fertilità umana, sui consumi energetici e le emissioni globali di CO2, sul numero di capi di bestiame allevati, sulla produzione pro capite di carne, e persino sui trasporti aerei e il numero sempre crescente di passeggeri. Ci sono poi gli immancabili trend sulla perdita della copertura forestale nel mondo, sulla perdita del ghiaccio artico e antartico, l’acidificazione degli oceani e l’innalzamento del livello del mare.


Fonte: BioScience

I toni utilizzati nel paper sono lucidi e realistici, e gli 11.000 scienziati non dimenticano di inserire i flebili segnali incoraggianti, tra cui un lievissimo calo del tasso di natalità globale. Troppi pochi indizi per gioire, però. E infatti il gruppo di scienziati lancia un j’accuse: «negli ultimi decenni, molte altre assemblee globali hanno convenuto che è essenziale intraprendere un’azione urgente per limitare il cambiamento climatico” tuonano, “ma le emissioni di gas serra sono ancora in rapido aumento». Un’accusa ai decisori politici “dormienti” per essere arrivati in ritardo alla battaglia contro il cambiamento climatico ed essere stati troppo superficiali in passato è chiara.

Infine, Ripple e colleghi indicano sei aree su cui l’umanità dovrebbe concentrarsi e prendere provvedimenti immediati per rallentare gli effetti di un pianeta in ebollizione. Forniscono sei raccomandazioni, che possono risultare familiari, ma che se seguite tutte possono porre un freno al climate change.

Leggi l’articolo integrale su Micron.

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