Stefano Laporta e il ruolo Ispra sui rifiuti

Stefano Laporta, presidente di Ispra e del Snpa, ha rilasciato una intervista alla rivista online RiEnergia, nella quale fa il punto sul ruolo dell’Istituto e del Sistema nel campo dei rifiuti, che riproponiamo di seguito.

Il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti (PNPR) stabilisce che ai fini della raccolta, elaborazione e popolamento degli indicatori il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare si avvalga dell’ISPRA. Può spiegarci quali sono le attività che svolge ISPRA per adempiere a questo compito?

L’Istituto si occupa della raccolta ed elaborazione dei dati annuali sulla produzione e gestione dei rifiuti urbani e speciali e del popolamento degli indicatori annuali relativi all’andamento della produzione dei rifiuti rispetto al trend degli indicatori socio-economici (prodotto interno lordo e spese delle famiglie). Tali indicatori sono trasmessi al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e pubblicati nei Rapporti annuali predisposti dall’Istituto. Oltre a questi macro-indicatori, monitorati su scala nazionale, il PNPR individua però altre azioni, alcune delle quali da attuarsi su scala comunale, ad esempio, la riduzione dell’utilizzo della carta, la diffusione dell’approvvigionamento di acqua alla spina, la promozione dell’uso di stoviglie biodegradabili o riutilizzabili, le misure di riduzione degli sprechi alimentari. Il monitoraggio di tali misure deve essere condotto in maniera puntuale; proprio con questo obiettivo, nell’ambito del supporto alle attività istituzionali del Ministero, ISPRA ha recentemente predisposto e reso pubblico uno specifico questionario rivolto ai Comuni e compilabile on-line sul sito del Catasto Nazionale dei Rifiuti, articolato in 36 domande elaborate seguendo l’impostazione del PNPR e che prende in considerazione sia le misure di carattere generale (adozioni di Piani, stipula di Accordi e Convenzioni, sviluppo di strutture per la promozione del riutilizzo) sia le misure rivolte a specifici flussi di rifiuti/prodotti ritenuti prioritari (ad esempio, misure per ridurre gli sprechi alimentari, dematerializzazione, sostituzione dei materiali plastici monouso con prodotti biodegradabili o riutilizzabili).

A proposito del Catasto Nazionale Rifiuti, a che punto siamo con la raccolta differenziata? Quali le regioni più virtuose? Sono dati soddisfacenti se si guarda al confronto con gli altri paesi europei?

Gli ultimi dati disponibili, riferiti al 2017, mostrano una percentuale nazionale di raccolta differenziata pari al 55,5%, con una crescita di 3 punti rispetto a quella del 2016. La situazione è però diversificata nelle tre macroaree geografiche: il Nord si colloca infatti al 66,2%, quindi al di sopra dell’obiettivo nazionale di raccolta differenziata del 65% fissato per il 2012, mentre il Centro ed il Sud fanno rilevare percentuali pari, rispettivamente, al 51,8% e al 41,9%.

A livello regionale, la più alta percentuale è conseguita dal Veneto, con il 73,6%, seguita da Trentino Alto Adige con il 71,6%, Lombardia con il 69,6% e Friuli Venezia Giulia con il 65,5%. Si collocano al di sopra del 60% di raccolta differenziata l’Emilia Romagna (63,8%), le Marche (63,2%), la Sardegna (63,1%), l’Umbria (61,7%) e la Valle d’Aosta (61,1%), e al di sopra del 55% (valore medio nazionale) il Piemonte (59,3%) e l’Abruzzo (56%). Toscana e Campania fanno rilevare percentuali di raccolta rispettivamente pari al 53,9% e 52,8%.  Nel complesso, pertanto, sono 13 le regioni che raccolgono in maniera differenziata oltre la metà dei rifiuti urbani annualmente prodotti. La più bassa percentuale, ancora lontana dagli obiettivi della normativa, si osserva per la Sicilia, 21,7%.  Per questa regione si rileva, comunque, una crescita di 6,3 punti rispetto alla percentuale del 2016 (15,4%).

Un confronto diretto con gli altri Paesi non è agevole in quanto la normativa europea, a differenza di quella nazionale, pur fissando l’obbligo di raccolta differenziata, non prevede specifici obiettivi ma esclusivamente obiettivi di riciclaggio. In media, il 30% dei rifiuti urbani gestiti nei 28 Stati membri è avviato a riciclaggio, il 16,6% a compostaggio e digestione anaerobica, mentre il 28,5% e il 25% sono, rispettivamente, inceneriti e smaltiti in discarica. In Italia il 29% dei rifiuti urbani è avviato a riciclaggio, il 21% a compostaggio e digestione anaerobica, il 22% a incenerimento e il 28% a discarica. Da questi dati emerge che il nostro Paese si pone al di sopra della media europea per ciò che riguarda il recupero dei rifiuti organici, ossia gli scarti di cucina e i rifiuti provenienti dalla manutenzione di giardini e parchi.

Di recente, si è riaccesso il dibattito tra i sostenitori della raccolta differenziata e chi invece ne evidenzia i limiti e vorrebbe si tornasse una politica più forte sulla riduzione della produzione di rifiuti? Qual è il suo pensiero?

Fermo restando che il compito di ISPRA è di fornire gli elementi tecnici conoscitivi e non di formulare giudizi sulle politiche, mi sembra che si possa affermare che la normativa europea e nazionale è molto chiara nel sostenere che occorre ridurre la produzione di rifiuti e incrementare la raccolta differenziata e il recupero di materia in termini quantitativi e qualitativi, per arrivare alle percentuali fissate dal legislatore. La via da seguire è quella di operare sviluppando entrambi gli strumenti, incentivando in primo luogo la prevenzione, per ridurre gli sprechi e preservare le risorse, in secondo luogo promuovendo tutti quegli strumenti che consentano di massimizzare il recupero di materia. In questo contesto, una raccolta differenziata di qualità svolge senza dubbio un ruolo fondamentale. Nel 2018, inoltre, con l’emanazione del pacchetto economia circolare, la Commissione europea ha introdotto l’obbligo di raccolta differenziata di alcune frazioni di rifiuti urbani come carta, metallo, plastica, vetro. Questo ci deve spingere, ancor di più, verso soluzioni e comportamenti virtuosi: come spesso ho affermato, qualunque iniziativa delle amministrazioni pubbliche, nazionali e locali, sia in un senso che nell’altro, non riuscirà ad avere i risultati auspicati senza un comportamento virtuoso da parte di tutti noi cittadini, che siamo i primi attori coinvolti nell’attuazione delle buone pratiche, ma allo stesso tempo i destinatari finali dei danni che all’ambiente può procurare il mancato rispetto delle regole. Questo vale tanto più per i rifiuti, dove comportamenti non corretti da parte di alcuni, possono avere serie ripercussioni ambientali sulla vita di molti.

Osservando invece il vostro ultimo Rapporto sui Rifiuti Urbani sembrerebbe emergere una correlazione positiva tra reddito e produzione di rifiuti. È così? Se la risposta è positiva, come combinare allora sviluppo economico e sostenibilità ambientale?

Storicamente si è sempre rilevata una certa correlazione tra l’andamento della produzione dei rifiuti urbani e il trend degli indicatori socio-economici, in particolare per quanto riguarda la spesa delle famiglie. Questa correlazione indica in generale un’assenza di prevenzione della produzione dei rifiuti. Nell’ultimo anno di riferimento (2017) si osserva, invece, un disallineamento: a fronte di incrementi sia del prodotto interno lordo che della spesa delle famiglie (valori concatenati all’anno di riferimento 2010) emerge un calo della produzione dei rifiuti. L’andamento riferito ad un solo anno non consente, tuttavia, di effettuare valutazioni e per poter ipotizzare un effettivo disaccoppiamento sarebbe necessario che tale trend fosse confermato per un periodo di tempo più prolungato. Per conseguire un effettivo disaccoppiamento tra produzione dei rifiuti e crescita economica e garantire, quindi, un uso più sostenibile delle risorse, un ruolo prioritario è senz’altro svolto dall’adozione di misure efficaci di prevenzione (si pensi, a titolo di esempio, alla riduzione degli sprechi alimentari). Insomma, come accade in molte delle vicende che riguardano l’ambiente – il nostro ambiente – la prevenzione è una delle sfide e delle scommesse su cui puntare.

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