Il vino ai tempi del ‘global warming’

La storia del vino è plurimillenaria. I ritrovamenti archeologici indicano che nella regione del Caucaso lo si produceva già novemila anni fa e la più antica cantina vinicola di cui abbiamo notizia era attiva circa quattromila anni fa nei pressi di Areni, in Armenia. Nei secoli più recenti, alcune produzioni locali si sono affermate sui mercati internazionale, dando origine ai grandi vini dell’enologia che ancora oggi elogiamo proprio per il rispetto di queste lunghe tradizioni. Ma il cambiamento climatico della seconda metà del Novecento sta mettendo in discussione abitudini consolidate in centinaia di anni, come per esempio il momento migliore per la vendemmia, con una serie di conseguenze sul contenuto di zucchero e alcol della bevanda, e quindi sul suo sapore.

Ne parla un articolo sulla rivista Micron, che cita uno studio recentemente apparso su Climate of the Past, la rivista scientifica pubblicata dalla European Geosciences Union dedicata proprio allo studio dei climi del passato per meglio capire quello presente e quello futuro. L’idea è piuttosto semplice, anche se di non facile esecuzione. La data della vendemmia nelle regioni che producono vino è talmente importante che viene registrata in documenti ufficiali e annali dal Medioevo. Se andiamo a vedere lo spostamento di questa data nel corso degli anni, si dovrebbe poter vedere l’effetto del cambiamento climatico sulla maturazione dei grappoli d’uva.

E così è risultato, come ha raccontato lo stesso primo autore della ricerca, Thomas Labbé: “La serie dal 1354 al 2018 è chiaramente divisa in due parti: fino al 1987 i raccolti dell’uva iniziavano generalmente dal 28 settembre, ma dal 1988 sono iniziati in media 13 giorni prima”. In altre parole, la maturazione precoce dell’uva registrata negli ultimi 30 anni mostra un’accelerazione del riscaldamento della regione.

La ricerca, che ha sfruttato la produzione del vino come indicatore per l’aumento delle temperature locali, ha mostrato che a partire dall’estate del 2003, una stagione particolarmente calda, otto periodi primavera-estate su sedici complessivi sono da considerarsi “eccezionali” per quanto riguarda le temperature. Ma non è finita qui: cinque di questi otto periodi eccezionalmente caldi si sono verificati negli ultimi otto anni, mostrando – secondo gli autori – i chiari segni di un’accelerazione del riscaldamento.

La vite e l’uva sono particolarmente sensibili alla temperatura e si tratta di una caratteristica ben nota ai produttori. Dalla quantità di acqua e dalla temperatura a cui gli acini sono esposti durante la maturazione dipende la percentuale di zucchero, dalla quale dipende il grado alcolico del vino. Questi fattori, uniti a una velocizzazione della maturazione, inoltre, hanno effetti anche importanti sul sapore. Pierre Jhean, un produttore di vino della zona di Beaune, ha raccontato all’agenzia Reutersche negli ultimi anni si sono registrate temperature superiori ai 40 °C, che “non sono tradizionali” per la regione.

I produttori si devono adattare, cambiando lo stile del proprio prodotto, ma non è detto che sia tutto un male sotto il profilo della vinificazione. 

Charlie Holland, un altro produttore intervistato da Reuters, ha dichiarato che “significa che possiamo portare a completa maturazione le nostre uve in un modo che prima non era possibile”, aprendo la strada a nuove possibilità di produzione, a vini con caratteristiche diverse da quelle tradizionali che abbiamo conosciuto finora. Ma il rovescio della medaglia, ha detto sempre Holland, “è che il cambiamento climatico porta con sé una variabilità del tempo che rende molto difficile per i vignaioli coltivare le vigne”. Dopo secoli di distillazione di una tradizione, almeno per la Borgona, è necessariamente tempo di cambiamenti.

La versione integrale dell’articolo di Micron

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