Marine Strategy: le specie non indigene in Toscana

Al primo congresso dedicato al mare MS SeaDay, organizzato da Società Chimica Italiana e patrocinato da ARPAT, ARPAT ha presentato l’attività di monitoraggio sull’ambiente marino ed in particolare quella svolta dal 2015 ad oggi, nell’ambito della direttiva sulla Strategia Marina (2008/56/CE).

La Strategia Marina ha infatti permesso ad ARPAT di approfondire alcune attività sul mare, tra queste il monitoraggio delle specie non indigene che vengono introdotte nel nostro mare attraverso le attività umane, di cui avevamo già parlato illustrando la campagna condotta da ARPAT nel 2016.

Il convegno è stato l’occasione per divulgare i risultati dell’attività di monitoraggio svolta dal 2015 ad oggi in Toscana per le specie non indigene (NIS).

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Per specie non indigene (NIS) si intendono tutte quelle specie la cui distribuzione al di fuori dell’areale di origine è dovuta ad un’introduzione volontaria o involontaria da parte dell’uomo. Ad oggi le più frequenti vie di introduzione risultano legate all’acquacoltura, ai traffici marittimi (acque di zavorra e fouling) o all’espansione di areale per cause antropiche, come le specie animali e vegetali che dal Mar Rosso arrivano nel Mar Mediterraneo attraversando il Canale di Suez.

L’introduzione di NIS è considerata una delle principali cause della perdita di biodiversità autoctona ed alla conseguente perdita di habitat. In tal caso, le NIS possono manifestare caratteristiche di specie invasive influenzando ed alterando gli equilibri degli ecosistemi con fenomeni di competizione e ibridazione con specie autoctone.

Oltre alle NIS è importante ricordare e definire le specie criptogeniche ovvero quelle specie per le quali non è possibile definire la certezza dell’origine aliena o nativa a causa di scarse conoscenze sulla specie.

Ad oggi il bacino del mediterraneo, considerato come la regione marina più “invasa” del mondo, conta fino a 850 NIS e, data la perdita economica dovuta dalla loro presenza, nasce la necessità di attuare misure di prevenzione, contenimento e controllo delle stesse.

La normativa Europea si esprime sulla problematica con regolamenti (es. Reg. (UE) N. 1143/2014) e direttive, come la Direttiva Quadro sulla Strategia Marina che pone attenzione sull’inquinamento biologico causato dall’introduzione di NIS e grazie alla quale vengono attuate campagne di monitoraggio mirate.

Nell’ambito della Direttiva sulla Strategia Marina e del suo recepimento con il D.lgs. n. 190 del 13 ottobre 2010, in Italia sono state individuate 16 aree da monitorare per valutare la presenza e l’abbondanza delle NIS. Fra queste sono state preferibilmente scelte località portuali, ovvero zone maggiormente soggette a nuove introduzioni di specie a causa di un elevato traffico marittimo rientrando in un sistema di prevenzione, che anticipa quelle che possono essere le future introduzioni nei sistemi biologici.

Immagini tratte dal Report ISPRA Strategia Marina – Descittore 2 – 2019 che si ripropone qui di seguito.

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Nelle coste toscane, questi programmi di monitoraggio vengono effettuati da ARPAT nell’area portuale di Piombino (LI).

Nell’ambito del monitoraggio, sono stati raccolti campioni di fondo mobile nell’anno 2016, 2017 e 2018 nei mesi di Aprile e Novembre con la motonave di ARPAT Poseidon. Il monitoraggio su ambienti bentonici di fondi duri è stato campionato con grattaggi presso una banchina portuale di Piombino nei mesi di Aprile e Novembre nell’anno 2017 e 2018.

Tutti gli organismi sono stati identificati a livello di specie e quantificati.

In totale sono state identificate fra NIS e criptogeniche 15 specie nei fondi duri e 3 specie nei fondi mobili dell’area portuale di Piombino.

I fondi duri mostrano un notevole inquinamento biologico di NIS e specie criptogeniche dove rappresentano circa il 15% della diversità specifica totale.

Al contrario, i fondi mobili sembrano essere meno soggetti ad avere un’elevata diversità non indigena a confronto di quanto si osserva nei fondi duri. Qui NIS e criptogeniche costituiscono il 2% di biodiveristà totale. In parallelo a questo modesto contributo, è stata però osservata una massiccia presenza di Aricidea fragilis, specie descritta per l’Atlantico occidentale ma ritenuta criptogenica a causa di assenza di evidenze molecolari che ne attibuiscono l’areale di origine, che denota una dominanza nella comunità dove ne costituisce il 15 % dell’abbondanza totale con valori che raggiungono 500 individui/m2. Fino all’ultimo decennio A. fragilis è stata riscontrata sporadicamente e solo nell’ultima decade è stata registrata una presenza massiva nell’alto e basso Adriatico.

Nelle aree tirreniche, si riscontra per la prima volta una presenza massiva di A. fragilis che presumibilmente può essere considerata una NIS in fase di espansione.

I dati del monitoraggio evidenziano che l’area monitorata nelle coste Toscane non è esente da inquinamento biologico e che il numero di NIS riscontrate sono paragonabili a quella osservate in altre località della costa Italiana. Ad esempio, gli altri monitoraggi svolti nell’ambito della Strategia Marina da Arpa Lazio nel porto di Civitavecchia hanno evidenziato la presenza di 10 NIS.

Ad oggi, nel triennio 2015-2017, il lavoro coadiuvato da ISPRA e l’elaborazione dei dati hanno portato all’individuazione di 14 specie NIS nel benthos delle acque del mar Tirreno, 18 in Adriatico e 5 nel Mar Ionio con l’obiettivo di valutare ogni sei anni le nuove introduzioni stabilendo un valore soglia da non superare attraverso la cooperazione regionale o sottoregionale.

È bene evidenziare che nell’elaborazione dei risultati relativi a questa tipologia di monitoraggio possano insorgere valutazioni non coerenti sullo stato ambientale rispetto alla presenza di specie NIS, in quanto non è di accordo assoluto lo status di una specie (nativa vs aliena). È, quindi, di prioritaria importanza che questo tipo di valutazione sia associata ad una costante revisione della letteratura scientifica.

Ad oggi, le prime valutazioni effettuate da ISPRA e dalle agenzie che si sono adoperate per una elaborazione dei dati (Arpa Toscana e Arpa Lazio) dopo il primo ciclo di monitoraggio, confermano le aree portuali come habitat facilmente colonizzabile da specie non autoctone e l’importanza di questi programmi per focalizzare l’attenzione sui cambiamenti in atto nell’ecosistema marino.

Testo a cura di Marco Lezzi

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