Moda: impatti ambientali, usa e getta ed economia circolare

Risulta difficile immaginare di vivere in un mondo senza tessuti, ciascuno, ovunque, vi entra in contatto. I vestiti danno comfort e protezione e per molti rappresentano anche un’importante espressione della propria personalità, per questo facciamo sempre più fatica a limitare i nostri acquisti di capi di abbigliamento, ma quanto sappiamo sugli impatti che questo comparto produttivo produce sull’ambiente ?

Il rapporto della Fondazione Ellen Macarthur “A new textiles economy: redesigning fashion’s futureè chiaro nel delineare un comparto industriale che simuove ancora seguendo un modello di economia lineare, ovvero“produci-usa-getta” e molti cominciano a sostenere la necessità di una riconversione verso un modello economico di tipo circolare. 

Il settore produce molti impatti sull’ambiente, come ad esempio

  • elevate emissioni di gas serra, stimabili in 1,2 miliardi di tonnellate annue e utilizzo prevalente di risorse non rinnovabili ed energia fossile in tutte le fasi della catena produttiva, dato che ha fatto riflettere importanti marchi del settore, inducendoli a promuovere la carta della moda sostenibile e a favore del clima 
  • elevato utilizzo di sostanze nocive nella produzione di tessuti, tema su cui lavora da anni Greenpeace con la campagna Detox, a cui aderiscono anche imprese italiane, in particolare nel distretto tessile pratese 
  • rilascio di microfibre plastiche nell’ambiente, soprattutto in fase di lavaggio degli indumenti in polyester, nylon e acrilico, tema oggetto anche di una recente campagna di Marevivo #stopmicroplastiche
  • uso di grandi volumi di fertilizzanti e pesticidi per la coltivazione delle fibre naturali che impattano sul suolo e sulle acque
  • grande quantità di rifiuti prodotti, secondo le stime, la maggiore parte del materiale utilizzato nel settore abbigliamento viene perso definitivamente ( l’87% della fibra totale utilizzata finisce in discarica o incenerita) con conseguenti tassi ridotti di ri-utilizzo e bassi livelli di riciclaggio (meno dell’1% dei materiali usati per produrre abiti viene riciclato in nuovi vestiti) 

Noi consumatori siamo consapevoli di tutto questo ?

Ipsos Mori per conto di Changing Markets Foundation e Clean Clothes Campaign ha realizzato un sondaggiomirato a comprendere quanto i consumatori sappiamo sulla relazione tra moda e inquinamento ambientale e come questa possa influenzare le loro scelte di consumo.

Il sondaggio è stato realizzato inottobre del 2018, coinvolgendo quasi 8000 persone (7.701) in 7 differenti paesi: Gran Bretagna, USA, Francia, Germania, Italia, Polonia e Spagna.

Dalle risposte fornite dagli intervistati emerge una certa attenzione per l’ambiente e per gli impatti che su di esso produce l’industria del tessile e della moda, ma solo il 17% si ritiene informato mentre il46% è consapevole che questo comparto industrialedetermini impatti ambientali,i più convinti di questo si mostrano gli Spagnoli e i Francesi.

Dal sondaggio emerge anche che il79% degli intervistati ritiene importante sapere se questo settore industriale abbia adottato misure per ridurre l’inquinamento ambientale derivante dalla catena di produzione. Sempre la stessa percentuale di intervistati considera altresì utile che i brands della moda forniscano informazioni ai consumatori sui loro impegni per tutelare l’ambiente. Su questo aspetto gli Italiani, insieme agli Spagnoli, si mostrano molto sensibili; in generale, le donne più degli uomini (82% vs 76%) attribuiscono importanza alla conoscenza degli impegni a favore dell’ambiente assunti dai brands.

Inoltre il 56% degli intervistati si mostra deciso nell’affermare che non comprerebbe da un brand che inquina, a questo proposito i più convinti risultano i consumatori francesi seguiti da quelli italiani e spagnoli.

Infine, è stato chiesto ai consumatori coinvolti nel sondaggio se avessero compiuto azioni ambientalmente sostenibili negli ultimi 12 mesi, come:

  • comprare vestiti prodotti con materiali sostenibili 
  • acquistare scegliendo l’opzione più rispettosa dell’ambiente 
  • cercare informazioni sulla politica ambientale di un brand di abbigliamento 
  • firmare una petizione o fare qualche altra azione concreta volta a chiedere all’industria del tessile e della moda maggiore sostenibilità ambientale o sociale 
  • scrivere o mandare una mail alle industrie tessili o di abbigliamento per chiedere quali fossero i loro impegni ambientali o sociali. 

Il 38% degli intervistati ha dichiarato di avere realizzato almeno una di queste azioni, per quanto riguarda gli Italiani, essi hanno affermato di avere optato per l’acquisto di abiti prodotti con materiali sostenibili.

Se come mostra il sondaggio siamo sensibili a questi aspetti, cosa possiamo fare in concreto per affermare un’economia circolare in questo settore ?

Come consumatori possiamo fare molto, sia nella direzione di orientare le aziende verso la gestione sostenibile e circolare delle produzioni ma anche praticando comportamenti sostenibili, ovvero tesi ad allungarela vita dei nostri capi di abbigliamento.

Questo significa,in primo luogo,utilizzarli il più a lungo possibile,anche riparandoliquando possibile. In controtendenza a quanto sta accadendo negli ultimi anni, connotati da un abbassamento del tempo d’utilizzo degli abiti, la riparazione rappresenta quasi un atto rivoluzionario per chi è attento all’ambiente e di questo si stanno rendendo conto anche noti marchi, come NudeJeans, Patagonia e North Sails, che offrono alla propria clientela un servizio di riparazione ma molti sono anche i negozi di rammendo e riparazione che stanno ri-nascendo nelle nostre città.

Questo aumento della produzione di capi di abbigliamento usa e getta, se non arginato, comporterà nel giro di qualche anno una sovra-produzione di rifiuti tessili, problema già evidenziato dall’UE nel suo pacchetto per l’economia circolare, dove prevede di raccogliere in modo differenziato questa tipologia di rifiuti. Per evitare che questo accada è importante che quando decidiamo di disfarci di un capo di abbigliamento, si opti per il riuso/riutilizzo, donando a strutture riconosciute, o per la raccolta differenziata dei rifiuti tessili, utilizzando gli specifici contenitori presenti nel proprio territorio (il 72,8% dei comuni italiani, nel 2016, ha effettuato la raccolta differenziata della frazione tessile). Secondo quanto riportato dal report “Indumenti usati come rispettare il mandato del cittadino”.

nel 2016, sono stati raccolti, attraverso la raccolta differenziata, 133.000 tonnellate di rifiuti tessili, pari a 2,2 kg abitante anno, in crescita rispetto al 2015. Questi, una volta raccolti, sono stati destinati per la maggior parte, il 68%, al riutilizzo, mentre il 25% è stato destinato ad azioni di recupero e solo il 7% sono stati smaltiti.

Sempre nell’ottica di ridurre la sovra-produzione di rifiuti tessili, si può scegliere di rivendere i capi inutilizzatia negozi specializzati o mercatini dell’usato. Già oggi il riuso rappresenta un mercato parallelo a quello del nuovo e secondo i dati raccolti dal Conau, in Italia, il settore della raccolta e recupero degli abiti usati ha vissuto una forte crescita negli ultimi anni, passando dalle 72 mila tonnellate del 2009 alle 110mila attuali. 

Molti anche i siti Web e le APP dedicate alla compravendita ma anche allo scambiodi abiti usati, alcuniesempi sono Girotondoweb, Armadio verdeDepop, Shpock, Svuotaly,mentre Vestiaire Collective,Rebelle e Videdressing“strizzano l’occhio” all’alta moda. 

Infine è sempre possibile organizzare uno Swap-party, ovvero una giornata o una serata in cui ci si incontra e si scambiano abiti tra amiche, amici, conoscenti ma anche … perfetti sconosciuti !

Stefania Calleri

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