Ventennale dell’alluvione di Sarno, cosa è cambiato?

A Salerno il Consiglio nazionale dei geologi ha organizzato un evento per commemorare la tragedia che ha cambiato la storia della protezione civile in Italia. Presenti anche rappresentanti del Snpa.
Centosessanta vittime, cinque comuni colpiti per un territorio di sessanta chilometri quadrati, decine di edifici distrutti e una scia di polemiche e di inchieste giudiziarie che ha segnato la storia della protezione civile in Italia. Si torna a parlare dell’alluvione di Sarno, la terza in ordine di grandezza accaduta nel nostro Paese nel secolo scorso, dopo i disastri del Vajont e della Val di Stava: sono passati infatti vent’anni da quella catastrofe, consumatasi tra il 5 e il 6 maggio del 1998. Il presidente della Repubblica ha ricordato come quei fatti non furono solo frutto del caso. «La tragedia di Sarno – ha affermato Sergio Mattarella – fu favorita e ingigantita da uno sconsiderato sfruttamento del suolo, da incuria e superficialità nell’affrontare i pericoli derivanti dall’assetto idrogeologico».
Per lo sviluppo del sistema di protezione civile in Italia, gli eventi del maggio ‘98 hanno avuto un’importanza paragonabile al terremoto in Irpinia. Stefano Sorvino, attualmente commissario dell’Arpa Campania, è stato a lungo consulente della magistratura per le indagini che seguirono il disastro di Sarno. «Quella tragedia fu uno spartiacque storico», ha detto il commissario Arpac nel corso del convegno organizzato a Salerno, nel giorno del ventennale, dal Consiglio nazionale dei geologi. «Sarno ha avuto un’incidenza fondamentale nello sviluppo della normativa in tema di difesa del suolo. In questo l’Italia ha una propria tradizione autoctona, mentre gran parte del diritto ambientale nel nostro Paese è di derivazione comunitaria. Il punto è che la franosità è un problema caratteristico degli Appennini e in generale delle regioni mediterranee. Manca perciò un condiviso bagaglio di esperienze europee in materia».
A Salerno si è fatto il punto su cosa è cambiato, in questi ultimi venti anni, in tema di contrasto al dissesto idrogeologico. Sorvino ha ricordato come, sulla spinta dei fatti di Sarno, si rese finalmente operativa la legge 183 dell’’89, attivando le Autorità di bacino che fino a quel momento erano rimaste in pratica sulla carta. «Dopo il ’98, si è aperto, in tema di difesa del suolo, un periodo sperimentale che ha portato i suoi frutti», ha detto il commissario dell’Arpa Campania. «In particolare sono stati potenziati i cosiddetti interventi non strutturali, ad esempio la pianificazione delle emergenze e le reti di monitoraggio».
Angelo Borrelli, capo del Dipartimento della protezione civile nazionale, ha sottolineato che nel ’98 in tutta la Campania erano attivi appena una trentina di pluviometri. Oggi sono circa duecento, a cui si aggiungono strumenti di misurazione di altro tipo. Passi avanti sono stati compiuti, insomma, nello sviluppo delle reti di monitoraggio meteo-idro-pluviometriche, fondamentali per prevedere le emergenze e allertare in tempo la popolazione. «In seguito agli eventi tragici del ‘98», ha ricordato Borrelli, «furono adottati una serie di provvedimenti, a cominciare dal cosiddetto “decreto Sarno”, che hanno permesso al sistema della protezione civile di uscire dalla mera logica della gestione post-evento, puntando sulla previsione e la prevenzione».
Francesco Peduto, presidente del Consiglio nazionale dei geologi, ha osservato come l’alluvione che colpì Sarno, Quindici, Bracigliano, Siano e San Felice a Cancello abbia rappresentato «un momento di presa di coscienza nazionale rispetto alla vulnerabilità del territorio italiano. Grazie al lavoro svolto dalle Autorità di bacino, attivate a seguito di quella tragedia, disponiamo oggi di una mappatura completa delle aree a rischio idrogeologico presenti nel nostro Paese». In tutta Italia risultano censite ben 530mila frane, un numero che fa impressione: si tratta di oltre il 70% delle frane censite in tutta Europa.
La presenza dell’Arpa Campania al convegno si spiega con l’esperienza personale di Sorvino (che ha collaborato alle indagini post-alluvione e successivamente è stato segretario generale dell’Autorità di bacino della Campania centrale), ma anche con il fatto che Sarno, per via dell’omonimo fiume, è sinonimo di degrado ambientale oltre che di dissesto idrogeologico. A questo proposito, il commissario Arpac ha osservato che la Campania è «regioni di grandi emergenze, sia sul fronte della protezione civile che su quello ambientale, ma proprio per questo è anche un grande laboratorio dove, a volte, vengono sperimentate soluzioni innovative che poi si rivelano utili in un contesto più ampio».
Non sono mancate le note dolenti nel corso del convegno. In primo luogo, la scarsità di fondi per finanziare gli interventi strutturali di protezione civile. A questo proposito, il sindaco di Salerno Vincenzo Napoli ha osservato che «portare fuori dal patto di stabilità gli interventi sulla sicurezza del territorio sarebbe un grande passo in avanti». Hanno partecipato al dibattito, tra gli altri, il vicepresidente della Giunta regionale della Campania, Fulvio Bonavitacola e per Ispra il responsabile del Servizio Geologia applicata e idrogeologia Marco Amanti. Bonavitacola ha riconosciuto il ruolo positivo svolto delle Autorità di bacino nel «colmare alcune lacune conoscitive». Grazie a questo lavoro abbiamo oggi una mappatura del rischio idrogeologico in Campania, «ma – ha aggiunto il vicepresidente della Regione – è mancata, perlomeno fino a tempi recenti, chiarezza su chi dovesse gestire la fase due, quella della realizzazione degli interventi strutturali».
Luigi Mosca – Arpa Campania
l.mosca@arpacampania.it

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